Recessione: perché non è inevitabile

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Geraldine Sundstrom, Portfolio Manager Asset Allocation di PIMCO

Questo è il linguaggio che le banche centrali hanno recentemente deciso di adottare nel parlare di una possibile recessione. Naturalmente tale retorica potrà fare ben poco per rassicurare i mercati, soprattutto visto che l’obiettivo numero uno è chiaramente l’inflazione, al momento eccessiva. Le banche centrali di tutto il mondo hanno adottato un orientamento restrittivo, con un livello e un ritmo di sincronizzazione senza precedenti. Nel corso della settimana si è assistito non solo ai rialzi ampiamente preannunciati della Federal Reserve statunitense (50 punti base), della Banca d’Inghilterra (25 punti base) e delle banche centrali di Brasile (100 punti base), Polonia (25 punti base), Colombia (100 punti base) e Cile (125 punti base), ma anche agli aumenti a sorpresa delle banche centrali di Australia (25 punti base) e India (40 punti base), che hanno fatto seguito all’inatteso rialzo operato la scorsa settimana dalla Riskbank svedese. Parallelamente, i toni restrittivi della Banca Centrale Europea (BCE) hanno superato qualsiasi aspettativa e numerosi membri del Comitato esecutivo danno praticamente per scontati un rialzo dei tassi a giugno o luglio, in anticipo rispetto alle precedenti stime di un inasprimento in autunno. I mercati si attendono ora che la BCE effettui 4 rialzi entro la fine del 2022.

Naturalmente i tassi aumentano ovunque: il rendimento del Treasury decennale statunitense ha superato la soglia del 3% ed è ritornato ai massimi di dicembre 2018; il Bund tedesco è salito al di sopra dell’1% per la prima volta dal 2015 e i Gilt britannici hanno infranto il livello del 2%; il tasso ipotecario trentennale statunitense di riferimento ha raggiunto il 5,5%; infine, lo spread dei BTP decennali italiani rispetto ai Bund è pari a 200 punti base e il rendimento reale dei TIPS statunitensi è ora in territorio positivo. Di conseguenza, le valutazioni scendono, spinte al ribasso dalle aspettative di tassi sempre più alti. La domanda che si pone diviene quindi: “il continuo aumento dei tassi finalizzato a contenere l’inflazione spingerà le economie in recessione?“, dal momento che un tale sviluppo potrebbe incidere in maniera più significativa sulle valutazioni degli attivi rischiosi.

Per quanto riguarda le probabilità di una recessione, vi sono elementi sia a favore che contro; in ultima istanza, questa dipenderà dalla tenacia e dalla persistenza dell’inflazione. Quello che è certo è che le possibilità di un atterraggio morbido si sono ulteriormente assottigliate, come è emerso chiaramente da alcuni estratti della conferenza stampa del presidente della Federal Reserve Powell: “c’è un modo per evitare una recessione”, “non sarà facile”, “sarà difficile”, mentre l’unica promessa è stata quella di un atterraggio “più o meno morbido”. Ma la notizia più clamorosa della settimana è giunta il giorno seguente, quando la Banca d’Inghilterra ha diffuso previsioni di crescita negativa per il Regno Unito nel 2023. La Banca d’Inghilterra ha avviato precocemente il proprio ciclo restrittivo alzando i tassi già a dicembre 2021, ma prevede fin da ora una “stretta senza precedenti sulle entrate delle famiglie” che causerà una stagnazione economica. Inoltre, “la maggior parte dei membri continua a ritenere che un ulteriore inasprimento potrebbe essere appropriato”, il che significa che non tutti sono di tale parere. Il giudizio della Banca d’Inghilterra è arrivato come una doccia fredda che ha ricordato l’inevitabile aumento delle probabilità di recessione. La Banca d’Inghilterra svolgerà il ruolo del proverbiale canarino nella miniera di carbone? È quello che i mercati intendono scoprire.

A cura di Geraldine Sundstrom, Portfolio Manager Asset Allocation di PIMCO

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