Recessione, molto rumore per nulla?

La situazione macroeconomica attuale è estremamente incerta. Gli indici dei responsabili degli acquisti sono ancora al di sotto della soglia di contrazione in molti Paesi anche se, di recente, hanno sorpreso al rialzo. L’indice ISM statunitense per il settore dei servizi è addirittura salito. Anche il mercato del lavoro statunitense ha rispecchiato un contesto economico sorprendentemente solido a gennaio. Allo stesso tempo, altri dati, come quelli relativi alla produzione industriale o le vendite al dettaglio, sono stati decisamente deludenti. Tuttavia, sebbene i dati macroeconomici siano in questa fase estremamente volatili e rendano difficile valutare lo slancio economico in corso, i recenti sviluppi della recessione, se considerati nel complesso, sono stati di gran lunga migliori di quanto gli operatori di mercato si aspettassero all’inizio dell’anno. Gli effetti delle misure di politica monetaria hanno bisogno di tempo per farsi sentire nell’economia reale.

Quindi recessione solo ritardata ma ancora all’orizzonte? Sebbene l’economia stia attualmente mostrando una sorprendente resistenza al notevole aumento dei tassi di riferimento, sarebbe davvero avventato supporre che la più forte stretta monetaria in oltre 40 anni non avrà un impatto negativo significativo sull’economia. Piuttosto, le circostanze eccezionali della ripresa post-pandemia suggeriscono che i ritardi di trasmissione delle politiche monetarie potrebbero essere stati prolungati piuttosto che ridotti. Tuttavia, per poter rispondere alla domanda è fondamentale un approccio differenziato a livello regionale. Mentre l’Europa dovrebbe sfuggire alla recessione quest’inverno, l’economia statunitense dovrebbe contrarsi nell’ultima parte dell’anno. Tuttavia, poiché una ripresa più forte dell’economia cinese, i prezzi più bassi dell’energia, la persistenza della spesa fiscale e l’assenza di forti squilibri finanziari  tendono ad attenuare nel complesso gli effetti della stretta monetaria, è probabile che la recessione sia più tardiva e più lieve di quanto ipotizzato inizialmente.

Philipp E. Bärtschi CFA recessione
Philipp E. Bärtschi, CFA, Chief Investment Officer

Obbligazioni – La fine si avvicina?

La comunicazione delle banche centrali tocca sempre più spesso il tema della fine dei rispettivi cicli di rialzo dei tassi. Il fatto che ciò venga accolto positivamente dagli investitori non sorprende. Ciò che invece sorprende, soprattutto per la sua persistenza, è l’ipotesi degli operatori di mercato che i primi tagli dei tassi d’interesse avverranno già quest’anno e quindi subito dopo l’ultimo rialzo. Ciò contraddice le dichiarazioni delle autorità monetarie. A nostro avviso, tagli dei tassi d’interesse prima della fine di quest’anno, così come attualmente scontato dal mercato monetario statunitense, rimangono improbabili. Piuttosto, è probabile che le banche centrali lascino i tassi di riferimento a livelli elevati a partire dal secondo trimestre, fino a quando la stretta monetaria non avrà fatto il suo corso e non vi saranno le condizioni per rivalutare prospettive economiche e contesto inflazionistico. Le banche centrali sono impegnate nella lotta all’inflazione e faranno tutto il possibile per evitare una fiammata dei prezzi. Dopo tutto, le autorità monetarie non sono così ottimiste come il mercato sui futuri sviluppi dell’inflazione.

La strada verso la fine del ciclo di rialzo dei tassi sarà probabilmente impegnativa per la maggior parte dei segmenti obbligazionari, soprattutto se il mercato del lavoro statunitense non si raffredderà nei prossimi mesi e le aspettative di inflazione torneranno a salire di conseguenza. In questo contesto, le obbligazioni indicizzate all’inflazione possono offrire una buona protezione all’interno di un portafoglio obbligazionario.

Azioni: troppa euforia?

Non c’è dubbio che le azioni abbiano avuto un inizio brillante nel nuovo anno. Nelle prime cinque settimane le azioni dei mercati emergenti sono salite dell’8%, quelle europee e statunitensi poco meno del 7% le small e mid cap e le società tecnologiche di quasi il 14%. I vinti dell’anno scorso sono quindi essenzialmente tra i vincitori di questo primo scorcio del 2023. Il motivo va ricercato in particolare nell’attenuazione di due importanti fattori che gravano sull’economia globale: la crisi energetica europea e la politica zero-COVID della Cina. Il miglioramento del quadro economico ha portato a una riduzione delle posizioni corte sul mercato azionario e a un aumento delle esposizioni cicliche rispetto a quelle difensive. A livello regionale, vediamo ancora un potenziale di recupero nei mercati emergenti, dove le valutazioni si attestano su livelli interessanti. Nel mercato azionario statunitense, il potenziale di rialzo sembra limitato, poiché le valutazioni sono elevate e gli utili dovrebbero continuare a scendere.

Recessione e Asset allocation – Migliore, ma non ancora buona

A livello regionale, preferiamo i mercati emergenti a quelli sviluppati. Nel comparto azionario puntiamo sulle società più piccole che stanno beneficiando in particolare della ripresa della Cina.

Tra le obbligazioni ci concentriamo su quelle societarie di alta qualità. In un contesto di forte aumento dei rendimenti reali e di aspettative di inflazione estremamente ottimistiche da parte del mercato, anche le obbligazioni indicizzate all’inflazione si rivelano interessanti.

Rimaniamo sovrappesati negli investimenti alternativi grazie alle positive caratteristiche di diversificazione. Questo vale anche per le materie prime, che beneficiano della ripresa della Cina e al tempo stesso sono sostenute da un’offerta limitata; esse inoltre proteggono il portafoglio in caso di un aumento strutturale dell’inflazione.

A cura di Philipp E. Bärtschi, CFA, Chief Investment Officer di J. Safra Sarasin

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