Con la diffusione del coronavirus al di fuori della Cina è ragionevole affermare che i consumi e l’offerta subiranno ripercussioni significative
Il coronavirus rappresenta un chiaro shock per l’economia mondiale. La natura della malattia è molto diversa da altre patologie quali la SARS e l’influenza suina, poiché presenta un tasso di trasmissione nettamente superiore e, fortunatamente, un tasso di mortalità molto inferiore. L’altra differenza evidente è che l’infezione si è ormai diffusa al di fuori dell’Asia. Fino a circa 10 giorni fa, i cittadini europei e statunitensi si sentivano sollevati dal fatto che la problematica fosse circoscritta alla Cina, con alcuni focolai nel resto dell’Asia. Adesso, invece, a seguito degli sviluppi avvenuti in Corea,in Italia e in altri paesi europei, questa visione tranquillizzante dei mercati è stata infranta e l’S&P ha perso quasi il 7% rispetto ai massimi registrati alcune sessioni fa.
Dove riteniamo che si svilupperà il coronavirus? È molto difficile prevederlo, non essendo un operatore sanitario né un funzionario della salute pubblica. È difficile pensare che non si registrerà un aumento del numero di casi, tanto più che in tutta Europa ci sono state le vacanze scolastiche, con molte famiglie in vacanza in tutto il continente. Di conseguenza, bisogna chiedersi in che misura le autorità riusciranno a contenere eventuali focolai.
Trovo incoraggiante il successo di Singapore nel limitare i casi e nell’evitare decessi. Ovviamente, in prospettiva futura, riteniamo che l’epidemia di coronavirus andrà scemando: il caldo estivo dovrebbe ridurre i tassi di trasmissione, ma anche prima di allora, il successo delle strategie di contenimento dovrebbe determinare una riduzione dell’incidenza della malattia. Se si considerano le statistiche cinesi (presupponendo che siano accurate), è già possibile osservare i risultati della strategia di contenimento aggressiva. La crisi sarà dunque probabilmente superata nei prossimi mesi.
Di conseguenza, quale sarà l’impatto economico? Finora, abbiamo potuto notare due effetti evidenti: consumi in calo e offerta in diminuzione. Sulla base di quanto avvenuto in Cina, si osserva che nel momento in cui la malattia diventa la preoccupazione centrale delle persone, i consumi calano. Un aggiornamento di mercato rilasciato da Adidas la scorsa settimana ha indicato che le attività cinesi della società erano scese dell’85%,2 un livello che lascia ben poco spazio a ulteriori commenti da parte degli analisti. Si tratta di un vero e proprio disastro, la cui natura è però temporanea. Nel giro di pochi mesi, e certamente entro la fine di quest’anno, con ogni probabilità torneremo in linea con l’andamento tendenziale. Tuttavia, sospetto che una quota significativa del calo dei consumi andrà persa definitivamente. Se da un lato è possibile che alla fine sostituiremo il nostro smartphone, è invece improbabile che acquisteremo quel nuovo abito primaverile.
Il secondo elemento consiste nella cosiddetta “supply disruption” ossia interruzione nelle catene di approvviginamento: osserviamo chiari segnali di carenza di componenti critici con una conseguente sottoproduzione, un fenomeno già confessato da Apple circa 10 giorni fa e di cui sentiremo ancora parlare. Di nuovo, a causa della mancanza di scorte, la domanda dei consumatori non verrà soddisfatta e in definitiva una quota della stessa andrà perduta. In alcuni settori dove i cicli delle scorte sono la norma, entreremo in un periodo di adeguamento delle scorte. L’entità della fase di ribasso e l’ampiezza che questo fenomeno assumerà a livello globale determineranno il periodo di adeguamento necessario. È probabile che potremmo assistere a un’altra “recessione industriale” imputabile al coronavirus, simile alla crisi dell’eurozona del 2012, al crollo del prezzo del petrolio del 2014-15 e al rallentamento del 2018- 19 dovuto alle controversie commerciali. Nessuno di questi eventi ha scatenato una recessione generalizzata e, data la natura transitoria del fenomeno del coronavirus, non prevediamo che ciò avvenga neanche in quest’occasione. Nel caso del Giappone e forse della Germania potremmo osservare una recessione, sebbene di lieve entità.
Prevediamo che le società andranno però incontro a un periodo di revisioni negative degli utili, e che ciò contribuisca ad incidere sfavorevolmente sui mercati, anche se la sensibilità dei mercati stessi agli shock dovrebbe ridursi. Anche se non abbiamo ancora formulato una stima effettiva, è comunque possibile che vi siano revisioni al ribasso degli utili a doppia cifra. Questo è stato l’impatto dei suddetti rallentamenti imputabili al virus e sarebbe sufficiente ad annullare la crescita degli utili prevista per quest’anno. Un altro modo per dire la stessa cosa è che il contesto di crescita moderata che l’economia mondiale sta registrando fin dalla crisi finanziaria globale di sicuro perdurerà. Durante quel periodo, un’impresa media ha avuto difficoltà a far crescere gli utili. Ad esempio, la Figura 1 mostra lo sviluppo degli utili a livello mondiale rispetto alla crescita del settore tecnologico nello stesso periodo.
A causa del fenomeno del coronavirus, questa tendenza continuerà anche nel 2020. Ovviamente, in questa categoria non rientrano soltanto le società tecnologiche, ma anche le aziende medtech e tutte quelle società ad alta crescita in grado di far fronte a tutti i contesti economici. A metà febbraio Mastercard ha emesso un profit warning, riducendo le proprie previsioni di crescita dei ricavi di 2-3 punti percentuali. In un raffronto con l’andamento della società durante la crisi finanziaria globale, anche con le difficoltà dovute al rafforzamento del dollaro, la crescita dei ricavi si era attestata al 3%.5 Le società di qualità quindi sovraperformano e consolidano la propria posizione competitiva durante le fasi più difficili.
Nel medio termine, uno degli effetti probabili del coronavirus potrebbe essere un’ulteriore spinta delle imprese a diversificare o persino ad accorciare le catene di approvvigionamento. Negli ultimi 30 anni, il modello di successo delle aziende occidentali ha comportato un allungamento delle catene di approvvigionamento, in modo da poter accedere a risorse meno care nelle economie a basso costo salariale, di cui la Cina rappresenta l’emblema. Il Presidente Trump ha già esplicitato varie resistenze a livello politico e a questo; il coronavirus aggiunge però importanti considerazioni riguardo alla sicurezza della catena degli approvvigionamenti.
Nel prossimo decennio, con il crescente ricorso all’intelligenza artificiale, aumenterà ad esempio la frequenza con cui le imprese potranno elaborare le previsioni sulla domanda: le aziende potranno mettere sicuramente a frutto queste informazioni attraverso una catena di approvvigionamento più corta e più agile, mentre l’automazione potrebbe sicuramente aiutare a compensare le conseguenti pressioni sui costi. Per concludere, quanto discusso sopra fornisce un quadro di riflessione sull’impatto del coronavirus anche se la situazione rimane comunque in rapida evoluzione.
Commento a cura di Neil Robson, Responsabile azioni globali di Columbia Threadneedle Investments