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Il modello mostra quali Paesi emergenti sono più vulnerabili agli aumenti dei tassi di interesse statunitensi e quali dovrebbero invece dimostrarsi più resilienti.
Quando l’America starnutisce, il mondo prende il raffreddore. Lo scenario riportato da un interessante commento di Patrick Zweifel, Chief Economist di Pictet Asset Management, a cura dei temi rilevanti i mercati dei Paesi emergenti.
Paesi emergenti: Le previsioni della Federal Reserve
Quando la più grande economia al mondo rialza i tassi di interesse, la gente, le imprese e i governi di tutto il pianeta ne subiscono gli effetti sui propri costi di finanziamento. Ciò è particolarmente vero nei mercati emergenti, dove una quota significativa di prestiti è espressa in dollari americani.
Considerando che la Federal Reserve statunitense prevede tre rialzi dei tassi di interesse quest’anno e altri rialzi nel 2023, chi investe nei mercati emergenti potrebbe avere validi motivi per sentirsi un po’ nervoso. Tuttavia, la nostra analisi indica che sarebbe sbagliato fare di tutta l’erba un fascio: la vulnerabilità alla stretta monetaria della Fed varia ampiamente tra le diverse economie in via di sviluppo.
Per analizzare le differenze, il nostro modello prende in esame 13 fattori di rischio, tra cui diverse misure del debito pubblico e privato, i saldi delle partite correnti, la forza delle riserve valutarie e i differenziali dei tassi di interesse rispetto agli Stati Uniti (si veda la Fig. 1). Le 25 economie dei mercati emergenti nel nostro modello vengono quindi classificate partendo dalla migliore (1) fino alla peggiore (25) per ciascun indicatore
Uno sguardo agli indici di vulnerabilità
I punteggi aggregati indicano che Colombia, Ungheria, Cile e Romania saranno probabilmente i Paesi più vulnerabili ai rialzi dei tassi statunitensi. Tutti e quattro hanno elevate esigenze di finanziarsi esternamente, spesso in valuta forte. All’estremo opposto della scala, Taiwan, Russia, India, Cina e Corea saranno probabilmente i più resilienti. Generalmente dispongono di sufficienti riserve valutarie, il che significa che possono intervenire per sostenere le loro valute contro il dollaro, se necessario, e hanno bassi livelli di debito estero.
Per esempio, nella nostra griglia Taiwan ha il miglior punteggio in relazione alle partite correnti con un surplus pari al 14,4% del PIL, mentre la Colombia si colloca all’ultimo posto con un deficit del 5,1%, dipendendo dal capitale estero per colmare il divario tra la spesa interna e gli investimenti interni.
Essendo tale dato associato a livelli elevati di attività estere nette e di debito estero e a un fragile saldo di bilancio fiscale, i rischi aumentano. La storia suggerisce che l’impatto negativo dei rialzi dei tassi statunitensi sui mercati emergenti è accentuato in periodi di rallentamento della crescita economica, lo 3 scenario più probabile per quest’anno. Nel 2022, prevediamo una ripresa della crescita dal picco negativo raggiunto nel terzo trimestre dello scorso anno, e questo potrebbe quindi offrire un cuscinetto contro la risalita dei tassi USA. A lungo termine, gli squilibri dovrebbero correggersi, come abbiamo visto con il taper tantrum del 2013.
Cosa accadrà alle valute dei Paesi emergenti?
Le valute dei Paesi emergenti più colpiti si indeboliranno, rendendo le loro esportazioni più competitive e, nel tempo, stimolando la crescita. Nel complesso, la nostra analisi evidenzia che l’universo dei mercati emergenti non è omogeneo.
Se si vuole investire all’interno di questo gruppo di Paesi, è fondamentale ricorrere a un’analisi approfondita e a un’allocazione attiva per individuare le migliori opportunità di investimento ed evitare i rischi maggiori, compresi quelli legati alla stretta monetaria della Fed.