Il prezzo di un’oncia d’oro ha recentemente registrato il suo nuovo record storico, sostenuto dalla domanda finanziaria e dal quadro macroeconomico
Quante sono le possibilità che l’oro continui a crescere nei prossimi mesi, ora che ha raggiunto quota 2.000 dollari l’oncia?
La crisi del Covid-19 ha completamente destabilizzato il mercato fisico dell’oro, a partire dalla considerevole disruption che l’infrastruttura del mercato stesso ha affrontato. Alcune delle maggiori raffinerie a livello mondiale hanno dovuto chiudere per alcune settimane, riducendo l’ammontare di oro disponibile. Si pensi che le società svizzere non avevano mai interrotto la loro attività prima d’ora, nemmeno durante la guerra!
Inoltre, il commercio di questo prezioso metallo è stato colpito anche dallo stop al traffico aereo. Con gli aerei costretti a terra, trasportare i metalli preziosi in tutto il mondo è diventato impossibile, e questo ha creato squilibri in alcune nazioni.
La recente crisi sanitaria globale ha però interessato negativamente anche il lato della domanda. I dati pubblicati dal World Gold Council mostrano una flessione del 6% anno su anno nel primo semestre del 2020, ma questa percentuale nasconde differenze notevoli. Il settore della gioielleria, che rappresenta il maggior utilizzatore di oro, ha visto un calo del 50% nel primo semestre. I due maggiori mercati del mondo, India e Cina, hanno registrato le riduzioni più accentuate, rispettivamente del 60% (minimo storico) e del 52% (livello minimo dal 2007). L’acquisto dell’oro è stato frenato anche dal lockdown, che gran parte della popolazione mondiale ha dovuto affrontare, e dal calo del reddito sperimentato da molte persone. La domanda industriale ha registrato un calo per le stesse ragioni, anche se molto meno pronunciato (-13%). Infine, si è ridotta la domanda anche da parte delle banche centrali.
Tutte queste flessioni sono state in larga misura compensate da una crescita degli acquisti di ETF basati sull’oro. Grazie a una crescita delle posizioni di circa 734 tonnellate dall’inizio dell’anno, la quantità di oro detenuta dagli ETF è cresciuta più nei primi 6 mesi del 2020 che in qualsiasi anno solare da quando questi prodotti sono stati creati.
Una delle caratteristiche principali di questa crisi, come detto, è che ha causato tanto uno shock della domanda quanto uno dell’offerta. Alcuni stati come la Cina e il Sud Africa hanno interrotto le loro attività estrattive, portando a un calo della produzione di circa il 5% nel primo semestre. Anche l’attività di riciclo è stata colpita in modo analogo. Complessivamente, per il prezioso metallo giallo anche l’offerta è crollata di 6 punti percentuali, proprio come la domanda.
Questo è un aspetto importante da tenere in considerazione: il fatto che anche la produzione sia scesa durante questo periodo di scarsa domanda ha fatto in modo che non si venissero a creare grandi scorte, il che significa che il prezzo dovrebbe recuperare molto più velocemente, una volta che i consumi riprenderanno.
In conclusione, nonostante la notevole disruption, le variazioni della domanda in settori differenti si sono bene o male compensate tra loro e questo ha portato a una decrescita molto contenuta della domanda complessiva. Similmente, l’offerta si è ridotta a causa delle interruzioni delle attività, rafforzate dalle misure di lockdown; in questo modo, il mercato è rimasto generalmente in equilibrio.
I fondamentali
Gli investitori hanno ritrovato interesse nell’oro negli ultimi anni per via dei bassi tassi d’interesse. Il fatto però è che l’oro non è un bene che porta rendimenti, quindi è finanziariamente attraente solo in relazione con altre asset class che invece i generano rendimenti. Oggi una larga parte di titoli di stato e una percentuale crescente di obbligazioni societarie sono entrate nel territorio dei rendimenti negativi. Con circa 16mila miliardi di dollari di asset che attualmente offrono tassi d’interesse negativi, l’oro è dunque tornato in voga tra gli investitori. Un fattore importante da sottolineare è che la performance dell’oro è inversamente proporzionale a quella dei tassi di interesse reali. Oggi, il prezzo dell’oro a circa 2.000 dollari l’oncia è coerente con gli attuali livelli dei tassi di interesse reali. Dunque, per determinare se il metallo giallo abbia ancora potenziale di rialzo, è importante capire se i tassi di interesse reali continueranno a scendere.
Lo scenario
Quando si cerca di determinare le probabilità che i tassi d’interesse crescano, è importante tenere in considerazione innanzitutto i livelli del debito sovrano. Le maggiori economie mondiali avevano già livelli di indebitamento piuttosto elevati prima che scoppiasse l’attuale crisi sanitaria, la quale ha a sua volta costretto i governi interventi di sostegno dei loro sistemi economici, esasperando ulteriormente la situazione. Gli Stati Uniti, ad esempio, dovrebbero uscire da questa crisi nel 2021 con un rapporto debito/Pil attorno al 130%.
Per capirci, per una nazione con un rapporto debito/Pil del 100%, un aumento del tasso d’interesse dell’1% comporterebbe un aumento della spesa in interessi pari all’1% del Pil. Ne consegue che la possibilità di assistere a una crescita dei tassi d’interesse sembra molto remota, con le maggiori economie mondiali così profondamente indebitate. I tassi di interesse dovranno necessariamente restare bassi. E l’inflazione? Come abbiamo visto durante la crisi del 2008, non è detto sia destinata a salire in presenza di politiche economiche estremamente accomodanti; data l’insufficiente domanda di credito, la liquidità iniettata nel sistema economico dalla Fed rimase all’interno del sistema finanziario, senza raggiungere l’economia reale e tenendo i prezzi sotto controllo.
Tuttavia, quest’ultima crisi potrebbe avere effetti differenti. Oltre alle politiche monetarie accomodanti, per combattere la pandemia sono state prese numerose misure di stimolo economico e fiscale. Molte di queste iniziative hanno iniettato liquidità direttamente nell’economia reale, quindi il loro potenziale inflazionistico è molto maggiore.
C’è poi un altro fattore che potrebbe far aumentare l’inflazione e che spesso non viene preso in considerazione: la transizione energetica. Se dobbiamo velocemente sbarazzarci della nostra dipendenza dai combustibili fossili, dobbiamo rapidamente passare da fonti di energia “dense” (1 litro di petrolio produce un quantitativo di energia pari a quello di 100 chili di batterie) a fonti più diffuse e spesso intermittenti. Questo si traduce in costi più alti dovuti alla natura più imprevedibile della produzione di energie rinnovabili. Tutti questi elementi combinati rendono l’inflazione un’eventualità molto più probabile nei prossimi mesi rispetto alla crisi finanziaria del 2008. Data la stretta e inversa correlazione tra prezzo dell’oro e livello dei tassi d’interesse reali, un aumento dell’inflazione (nonostante la Fed abbia suggerito di voler tenere i tassi nominali bassi per qualche tempo) potrebbe spingere il prezzo dell’oro a livelli ancora più alti.
Riteniamo dunque che le aspettative sull’inflazione potrebbero crescere e permettere al prezzo dell’oro di continuare a salire senza neanche attraversare una fase di assestamento intermedia. Se le stime sulla crescita dell’inflazione aumentassero al 2,5%, abbassando i tassi di interesse reali di un ulteriore punto percentuale, il prezzo dell’oro dovrebbe arrivare a 2.400 dollari l’oncia. Questo è il nostro target per i prossimi 12 mesi. Ma se le nuove misure di stimolo all’economia dovessero fare aumentare ulteriormente il livello dell’inflazione, potremmo dover rivedere ancora al rialzo le nostre stime.
Commento a cura di Benjamin Louvet, Commodities Portfolio Manager di Ofi Asset Management