La seconda ondata di Covid-19 può innescare una correzione nel breve termine, ma nel medio periodo i tassi contenuti sosterranno le azioni
Dopo la netta rimonta dai minimi di marzo, le valutazioni dei mercati azionari appaiono ora elevate. Nel bel mezzo della seconda ondata di Covid-19, l’incertezza comincia a incidere sulla ripresa degli utili, e anche se le presidenziali statunitensi sono ormai alle nostre spalle – malgrado lo spettro di una transizione complicata – è probabile che il nuovo Presidente continui a esercitare pressioni sulla Cina. Negli Stati Uniti, le revisioni degli utili societari sono aumentate ma potrebbero aver raggiunto il picco. In Europa sono stazionarie. Noi di Columbia Threadneedle Investments prevediamo una ripresa più modesta degli utili l’anno prossimo rispetto a quanto pronosticato da molti altri analisti. Le stime di consenso appaiono troppo elevate. Il dato indubbiamente positivo è il nuovo approccio di politica monetaria della Federal Reserve statunitense, che intende consentire esplicitamente all’inflazione di superare il target. Se pure l’inflazione dovesse salire, dunque, la Fed non interverrà immediatamente, e ciò finirà col fare aumentare la pendenza della curva dei rendimenti. Tuttavia, la determinante chiave dei tassi d’interesse a lungo termine è la direzione dei tassi a breve. Se i tassi a breve termine sono destinati a restare su livelli ridotti per i prossimi quattro-cinque anni, come possono muoversi al rialzo i rendimenti a lungo termine? Le nuove misure restrittive dovute al Covid-19 e la diminuzione del supporto fiscale peseranno sulle economie verso la fine dell’anno. Mentre scriviamo, il pacchetto di aiuti federali stanziati dagli Stati Uniti per far fronte all’emergenza disoccupazione è scaduto e non è stato ancora concordato un nuovo piano fiscale. Nel loro insieme, i ritardi nell’approvazione di questi stimoli e la correzione subita dai titoli tecnologici statunitensi hanno fatto aumentare il rischio di breve termine nei mercati, benché la notizia del vaccino sia chiaramente molto positiva. Gli stimoli monetari di breve termine, secondo quanto misurato dai flussi creditizi a sei mesi, hanno raggiunto il massimo storico in estate, ma sono ora in via di attenuazione. Negli Stati Uniti e in Cina questi flussi hanno raggiunto l’apice a maggio, rispettivamente a 700 miliardi di dollari e 800 miliardi di dollari. Nell’eurozona, il picco è stato toccato a luglio ad oltre 1.000 miliardi di dollari. Complessivamente, i flussi hanno superato i volumi raggiunti durante la crisi finanziaria globale. Di recente, i flussi creditizi a sei mesi sono scesi a circa 200 miliardi di dollari sia negli Stati Uniti che in Cina. In Europa si prospetta un quadro analogo, anche se non sono ancora stati diffusi i dati più recenti. Su tali premesse, gli stimoli fiscali assumeranno un ruolo ancor più importante.
Attenzione al premio al rischio azionario
Salvo che nel brevissimo termine, non vi è alcuna alternativa alle azioni, in quanto il premio al rischio azionario globale – vale a dire la differenza tra il rendimento degli utili azionari e i rendimenti reali offerti dai titoli di Stato – rimane estremamente ampia. Il rendimento da dividendo dell’indice S&P 500 è attualmente pari all’1,6%, al disotto della sua media di lungo termine del 4,3% ma ben oltre il rendimento dello 0,7% fornito dal Treasury USA decennale. Se i dividendi distribuiti rimanessero sui livelli attuali per i prossimi dieci anni, l’S&P 500 dovrebbe perdere il 9% per portarsi in linea con il rendimento del Treasury decennale. Se l’inflazione si attestasse in media al 2%, nello stesso periodo di dieci anni l’S&P 500 dovrebbe subire un calo del 25% per arrivare sullo stesso livello dei Treasury decennali. Al di fuori degli Stati Uniti, lo scenario è ancora più sorprendente: le azioni dell’area euro e quelle britanniche dovrebbero perdere rispettivamente il 30% e il 50% in termini reali per uguagliare i rendimenti obbligazionari. Nessuno di questi scenari appare probabile. Benché il rendimento degli utili statunitensi sia nettamente inferiore alla media, il premio al rischio azionario è ancora elevato perché i rendimenti obbligazionari reali rimangono in territorio negativo. Di fatto, il premio al rischio azionario continua ad aggirarsi sul livello di marzo, quando le quotazioni azionarie hanno toccato i minimi. Se da un lato i prezzi delle azioni hanno recuperato quota e i rendimenti da dividendo sono diminuiti, dall’altro il calo dei rendimenti obbligazionari reali è stato analogo. Pur avendo inglobato nei prezzi la temporanea flessione degli utili societari dovuta al Covid-19 (che alla fine invertirà rotta), il mercato ha scontato anche il calo da 94 pb del rendimento trentennale privo di rischio a partire dall’inizio dell’anno. Se l’effetto sugli utili è transitorio, quello sul tasso di sconto è permanente. Ne consegue che, nonostante i timori di breve termine, in realtà le quotazioni azionarie dovrebbero essere più elevate. Al contempo, la politica monetaria è straordinariamente accomodante. La Fed ha promesso di mantenere i tassi invariati fino a che l’economia non raggiungerà la “massima occupazione” e l’inflazione non sarà “in procinto di superare moderatamente il 2% per qualche tempo”. La maggioranza dei membri del Federal Open Market Committee non prevede di intervenire sui tassi almeno sino alla fine del 2023. Vista l’assenza di inflazione, è difficile che i rendimenti obbligazionari aumentino nei prossimi anni, ma è anche improbabile che diminuiscano ulteriormente visti i livelli già estremamente contenuti. Il premio al rischio azionario è tale da consentire alle azioni di apprezzarsi ancora, anche laddove i rendimenti obbligazionari dovessero leggermente salire.
“Growth” vs. “value”
Il prolungato periodo di tassi bassi consente di tracciare qualche parallelo con l’epoca delle “Nifty Fifty”, il periodo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 durante il quale 50 titoli growth dominarono le performance del mercato azionario statunitense. Ciononostante, se pure i rendimenti obbligazionari si limitassero a stabilizzarsi anziché salire, verrebbe rimosso un ostacolo significativo per le banche. La convenienza dei titoli value rispetto a quelli growth ha raggiunto il massimo storico, superando persino quella rilevata all’apice della bolla delle dotcom del 2000 (Figura 1). Tuttavia, queste azioni hanno bisogno di un elemento catalizzatore in grado di innescare una ripresa. Un nuovo pacchetto fiscale e un vaccino regolarmente autorizzato e distribuito in tempi rapidi potrebbero fornire questa spinta, ma non siamo ancora giunti a questo punto. Sono diversi i candidati vaccini giunti ai test di fase 3, di cui tre sembrano essere efficaci. Tuttavia, l’approvazione definitiva, la produzione e la distribuzione globale richiederanno altro tempo. Il segmento value tende a sovraperformare quello growth durante le fasi di indebolimento del dollaro USA e di accelerazione della crescita globale. I titoli growth hanno generato buoni risultati a fine anni ‘90, quando il dollaro era forte, mentre quelli value hanno fatto meglio nel periodo 2001-2007, quando il dollaro era debole. Un deprezzamento del biglietto verde nei prossimi mesi potrebbe imprimere slancio ai titoli value attualmente su livelli depressi.
Supporto per gli asset rischiosi
Le elezioni americane sono ormai alle nostre spalle e i vaccini dovrebbero accelerare la ripresa. È improbabile che le attuali misure di sostegno cambino, in quanto le autorità sono intenzionate a tenere oliate le economie per sostenere la ripresa. Ciò spingerà al rialzo le azioni. Fino a questo momento, l’incertezza sulla crescita di lungo termine è stata molto elevata, controbilanciando gli effetti positivi dei tassi più bassi. Tale incertezza è stata in parte espressione dei rischi deflazionistici estremi e dei timori circa il futuro dell’UE e dell’euro. Avendo inaugurato un nuovo ciclo, caratterizzato da una crescita moderata accompagnata da tassi d’inflazione e d’interesse contenuti, le misure di supporto pubbliche dovrebbero aiutare a ridurre il rischio di una nuova recessione. Il ritorno ad una politica dei tassi zero sosterrà gli asset rischiosi nell’immediato futuro. Nel breve termine, tuttavia, l’attuale aumento dei contagi di Covid-19, i continui lockdown, la riduzione dell’attività economica e la soppressione delle aspettative inflazionistiche (che prelude a tassi reali più elevati) potrebbero innescare una nuova correzione dei listini azionari.
Commento a cura di Paul Doyle, Responsabile azionario per l’Europa (Regno Unito escluso) di Columbia Threadneedle Investments