Dopo un ingente sell-off dei mercati negli ultimi sei mesi e dopo che l’indice S&P500 è entrato ufficialmente in fase bear (con un calo di oltre il 20% rispetto al suo massimo di gennaio), di recente abbiamo assistito a qualche segnale di ripresa, con il mercato azionario in ripresa dal minimo del 16 giugno. Tuttavia, con i mercati che affrontano ancora numerosi venti contrari, si tratta solo di un rally del bear market o potrebbe trasformarsi in qualcosa di più sostenibile?
Stiamo passando a un regime molto diverso da quello dell’ultimo decennio. Da un periodo di tassi minimi, liquidità senza precedenti, disinflazione benigna, bassa volatilità, Fed put, picco della globalizzazione e ricchezza delle valutazioni, si passa ad un periodo di normalizzazione dei tassi, restrizione della liquidità, trend dell’inflazione in crescita, volatilità elevata, Fed put profondamente out-of-the-money, tendenza alla de-globalizzazione e recessione delle valutazioni.
In effetti, negli ultimi sei mesi sia le obbligazioni che le azioni sono crollate, provocando una distruzione della ricchezza senza precedenti. Se da un lato potremmo aver assistito ad un picco dei rendimenti, che potrebbe essere di buon auspicio per le obbligazioni, dall’altro le azioni potrebbero soffrire ulteriormente.
Elevato pessimismo?
L’ultima Global Fund Manager Survey di Bank of America ha evidenziato che il pessimismo degli investitori è a livelli preoccupanti, con le allocazioni azionarie ai livelli più bassi dalla crisi finanziaria globale e la liquidità ai massimi da 21 anni a questa parte. Inoltre, le aspettative di crescita e di utili sono ai minimi storici.
I mercati sono guidati dal sentiment? In gran parte hanno seguito il deterioramento dell’economia piuttosto che superarlo. Nelle ultime settimane, l’attività manifatturiera ha sorpreso al ribasso e le richieste di disoccupazione negli USA sono in costante aumento, ora ai massimi da 8 mesi. Di fatto, molte società tecnologiche e finanziarie hanno segnalato un rallentamento delle assunzioni o un vero e proprio taglio di posti di lavoro nei recenti aggiornamenti degli utili. Sebbene i mercati abbiano scontato molte cattive notizie e una lieve recessione, non hanno prezzato un crollo più profondo. L’aspetto positivo, tuttavia, è che le cattive notizie si sono trasformate in buone notizie: i dati negativi hanno visto i mercati salire, con la speranza di una Fed meno falco.
Sebbene sia estremamente difficile prevedere con precisione il punto più basso di un bear market, ci sono alcune ragioni per cui potremmo non esserci ancora arrivati. Poiché l’inflazione continua a essere la priorità della Fed, è improbabile che questa venga in soccorso dei mercati. Inoltre, anche se i titoli si sono rivalutati per l’aumento dei tassi e le valutazioni si sono abbassate, sono ancora a livelli nella media. Potrebbero esserci ulteriori ribassi, soprattutto nei settori in cui i multipli sono ancora elevati e non si è tenuto conto di un calo degli utili: le cui stime appaiono troppo ottimistiche alla luce delle pressioni sui margini e dei rischi di recessione. Un dollaro forte, inoltre, non è positivo per gli asset di rischio e agisce da freno per gli utili societari esteri. Un’ulteriore difficoltà potrebbe venire dalla liquidità e dal crollo dei mercati del credito. Si va in bancarotta quando si è in una profonda recessione.
Motivi per essere cautamente ottimisti
Non ci sono solo cattive notizie. La crescita economica sta rallentando, ma da un livello elevato. I bilanci dei consumatori e delle aziende sono solidi e la leva finanziaria è bassa, con un andamento sano del credito. I recenti dati di Visa evidenziano che la spesa dei consumatori è ancora resistente. Dal punto di vista dell’inflazione, potremmo aver raggiunto un picco, in quanto la Fed sta iniziando ad avere un impatto sulla domanda e i vincoli di offerta legati al Covid-19, pur se presenti, stanno lentamente diminuendo.
Quando potremmo vedere una flessione?
Non esiste una sfera di cristallo per prevedere quanto in basso possano scendere le azioni. Il calo dell’inflazione è la chiave per una flessione delle azioni e per una svolta dovish della Fed. Il rialzo di 75 punti base a luglio era atteso e i commenti di Powell hanno sottolineato l’impegno per la stabilità dei prezzi, pur mantenendo un tono meno aggressivo, secondo cui la prossima mossa dipenderà dai dati.
Finora i titoli azionari si sono ampiamente deprezzati a causa dell’aumento dei tassi, e i prossimi potrebbero essere gli utili. Durante le ultime quattro recessioni gli utili per azione sono scesi del 20-40%, mentre attualmente ci troviamo al picco degli utili e non abbiamo ancora assistito ad un loro declassamento significativo. La stagione degli utili del secondo trimestre potrebbe dare maggiori indicazioni sullo stato di salute dell’economia. Abbiamo avuto risultati contrastanti, con un profit warning da parte di Walmart, mentre i guadagni di alcuni big del settore tecnologico sono stati migliori del previsto, tra cui Microsoft e Alphabet. Anche Coca Cola ha superato le aspettative, evidenziando l’importanza del potere dei prezzi.
Implicazioni per gli investimenti
Quello attuale sembra quindi più un rally del bear market e la volatilità azionaria è destinata a persistere. Per gli investitori è importante rimanere ben diversificati ed evitare scommesse fuori misura. Siate pazienti nell’aggiungere nuovo capitale, ma il momento di acquistare azioni arriverà, si spera presto. Per coloro che nel frattempo vogliono aggiungere un po’ di rischio, l’high yield offre rendimenti e spread interessanti e, a quanto pare, l’attesa viene ripagata.
Commento a cura di Ritu Vohora, investment specialist, capital markets, T. Rowe Price