I risultati di Invesco mostrano come, dopo un 2018 difficile, gli investitori sovrani si stiano spostando verso il comparto obbligazionario
Invesco ha pubblicato il settimo Invesco Global Sovereign Asset Management Study, un approfondito report annuale che analizza le attitudini all’investimento di fondi sovrani e banche centrali che quest’anno evidenzia tra gli investitori sovrani un certo disincanto nei confronti dell’Europa.
Lo studio è stato condotto tramite interviste dirette tra 139 singoli investitori sovrani e responsabili di banche centrali di tutto il mondo (71 banche centrali rispetto alle 62 del 2018), rappresentativi di asset per 20,3 trilioni di dollari USA, selezionati per riflettere il crescente ruolo degli investitori sovrani.
Nelle preferenze dei fondi sovrani le obbligazioni hanno superato le azioni, diventando la principale asset class.
Il 2018 è stato un anno complicato per i titoli sovrani a causa del calo complessivo dei rendimenti dovuto alla debolezza e alla volatilità dei mercati. In media, nel 2018 gli investitori sovrani hanno conseguito un rendimento del 4% a fronte di un rendimento del 9% nel 2017. Nonostante il calo dei rendimenti, i titoli sovrani hanno realizzato una buona performance visto l’andamento negativo delle azioni globali che, stando all’indice MSCI World, nel corso dell’anno hanno registrato una flessione dell’8,7%.
La maggioranza dei fondi sovrani (89%) prevede la fine del ciclo economico entro i prossimi due anni. Questo elemento, unitamente ai timori sulla volatilità e alla prospettiva di rendimenti azionari negativi, ha portato a incrementare le allocazioni alle obbligazioni e la diversificazione nelle allocazioni alle infrastrutture, al settore immobiliare e ai mercati di private equity.
L’allocazione media alle obbligazioni è salita dal 30% nel 2018 al 33% nel 2019, diventando la principale asset class. Parallelamente, l’allocazione media alle azioni è scesa dal 33% al 30%, e ha quindi sancito la fine di un trend quinquennale iniziato nel 2013 e conclusosi nel 2018 durante il quale il comparto obbligazionario ha perso importanza (dal 35% al 30%) mentre le azioni hanno registrato forti incrementi.
Le turbolenze sui mercati azionari nel 2018 hanno evidenziato i limiti delle strategie passive ponderate in base alle capitalizzazioni di mercato e di alcune strategie fattoriali meno complesse. Alcune delle strategie fattoriali più popolari, per esempio value e momentum, nel 2018 hanno sottoperformato rispetto alle attese degli investitori. Chi ha applicato alle allocazioni fattoriali l’approccio “set and forget” si è ritrovato a volte con dei rendimenti non positivi. Alla luce di tale situazione è quindi preferibile abbandonare l’approccio mono-fattoriale a favore di posizioni multi-fattoriali in grado di adattarsi meglio alle condizioni evolutive dei mercati.
Ottimismo degli investitori sovrani riguardo alla Cina
Dal 2017 l’attrattività della Cina per gli investitori sovrani è cresciuta molto di più rispetto a quella delle altre regioni. Circa l’82% degli investitori sovrani ha citato le tensioni commerciali tra i fattori che hanno avuto un’influenza sulle decisioni di asset allocation, eppure l’attrattività della Cina quale destinazione d’investimento nei prossimi tre anni ha registrato un punteggio di 6,1 su 10, in netto aumento rispetto a un rating di 5,2 nel 2017.
Anche se lo studio è stato condotto in un periodo caratterizzato da una costante retorica sulla guerra commerciale, le persone intervistate hanno dichiarato che l’impegno della Cina a migliorare la tutela della proprietà intellettuale rappresenta per loro un motivo di ottimismo riguardo a una possibile risoluzione delle tensioni.
Lo studio rivela che le dinamiche competitive della Cina, uniche nel loro genere, attirano gli investitori sovrani in cerca di una maggiore diversificazione, con le azioni che rimangono l’asset class preferita. Circa il 90% dei fondi sovrani con un’esposizione alla Cina deteneva azioni cinesi, a riprova del fatto che le misure intraprese dal governo per aprire il mercato agli investitori stranieri stanno dando i loro frutti. Le allocazioni alle obbligazioni probabilmente aumenteranno grazie all’inclusione della Cina nella maggior parte degli indici obbligazionari e alle iniziative, come Bond Connect, che offriranno agli investitori stranieri l’accesso al mercato obbligazionario locale. La trasparenza rimane un ostacolo significativo per i fondi sovrani che intendono incrementare le allocazioni alla Cina, mentre per quelli che non sono esposti al Paese del Dragone, i principali impedimenti sono rappresentati dalle restrizioni agli investimenti e dal rischio valutario.
Per gli investitori l’Europa non è economicamente attraente
Il rallentamento della crescita congiunturale, unitamente alla percezione di un crescente rischio politico, ha contribuito al calo dell’attrattività percepita delle principali economie europee. La Brexit sta ora influenzando le decisioni di asset allocation del 64% degli investitori sovrani. Per contro, la politica interna dell’Europa continentale, ritenuta sempre più incerta alla luce dell’ascesa dei movimenti populisti in importanti economie europee come quella tedesca e italiana, sta incidendo sulle decisioni di asset allocation per il 46%. Di conseguenza l’Europa è caduta in disgrazia, e quasi un investitore sovrano su tre ha diminuito le proprie allocazioni nel 2018 e un numero analogo intende procedere nello stesso modo nel 2019. Solo il 13% degli investitori sovrani prevede quest’anno di incrementare le allocazioni all’Europa rispetto al 40% che aumenterà le allocazioni all’Asia e al 36% che aumenterà le allocazioni ai mercati emergenti.
Il renminbi cresce d’importanza nelle riserve delle banche centrali
Le banche centrali ritengono collettivamente che la fine del ciclo economico sarà caratterizzata da un rallentamento graduale invece che da una crisi economica. Tuttavia, il contesto di mercato incerto, unitamente a una Federal Reserve sempre più aggressiva, ha indotto molte di loro a trovare una sicurezza nelle allocazioni ai depositi e, in alcuni casi, all’oro.
Le banche centrali hanno acquistato nel 2018 651,5 tonnellate di oro, il secondo picco più alto di sempre (+74% rispetto al 2017) 12. Oltre un terzo (35%) delle banche centrali ha incrementato le allocazioni nel corso degli ultimi tre anni, e il 32% prevede ulteriori aumenti nei prossimi tre anni, ma nel complesso gli investimenti in oro rimangono attorno al 4% dei portafogli complessivi di riserva. Gli intervistati hanno inoltre segnalato alcune difficoltà legate all’oro come bene di riserva tra cui la volatilità, i costi di deposito e le implicazioni politiche della vendita. Il 75% delle banche centrali è convinto o addirittura fermamente convinto che la vendita degli investimenti in oro avrebbe una copertura mediatica negativa nel loro Paese.
Le banche centrali, in cerca di diversificazione e di alternative ai rendimenti negativi dei titoli di Stato (soprattutto in Europa) e al dollaro USA, puntano sui depositi bancari. Il principale beneficiario è stato il renminbi, e tra il 2017 e il 2018 le allocazioni alla valuta cinese hanno superato quelle al dollaro australiano e canadese, con il 43% delle banche centrali che ora detiene renminbi in portafoglio a fronte del 40% nel 2018. Oltre un quarto (27%) delle banche centrali prevede di aumentare le riserve di renminbi nel 2019; la valuta cinese è destinata a diventare la valuta preferita nel 2020, e si prevede che l’aumento di questa allocazione andrà a scapito del dollaro USA, dell’euro e della sterlina. Nonostante il biglietto verde rimanga la valuta di riserva dominante, le sue allocazioni hanno toccato i minimi degli ultimi cinque anni scendendo dal 62,7% delle riserve mondiali in valuta al 61,7%.
Le considerazioni ambientali contribuiscono alla solida affermazione dei criteri ESG
I criteri ESG sono un tema sempre più importante per gli investitori sovrani e per le banche centrali. Dal 2017, la percentuale di investitori sovrani con una politica ESG specifica è passata dal 46% al 60%. Il 20% delle banche centrali ha ora una politica sui criteri ESG rispetto all’11% del 2017. Gli approcci ESG sono sempre più sofisticati in quanto hanno superato la fase dello screening e prevedono ora forme più raffinate di integrazione.
C’è stato inoltre uno spostamento nella focalizzazione sulla natura dell’attività ESG. Mentre in passato gli asset owner si focalizzavano sulle questioni di governance per via dei vantaggi più evidenti in termini di rischio/rendimento, questi fattori vengono ora spesso dati per scontati da chi adotta i criteri ESG. Per gli investitori sovrani, le questioni ambientali stanno diventando sempre più importanti, e le emissioni di carbonio e il cambiamento climatico rappresentano la tematica ESG più importante.
Alex Millar, Head of EMEA Institutional Distribution Sales,Invesco, ha dichiarato: “Il nostro studio rivela che gli investitori sovrani e le banche centrali si stanno preparando per la fine del ciclo economico che prevedono entro due anni, adottando approcci difensivi e diversificando le strategie d’investimento. Gli investitori sovrani hanno ridotto l’allocazione alle azioni a favore delle obbligazioni, ancorchè mantengano un trend crescente nell’allocazione in mercati privati, che per i principali investitori sovrani comprende anche investimenti diretti in Cina e nel settore tecnologico. Lo spostamento verso la Cina, in un momento in cui le guerre commerciali hanno un impatto negativo sui mercati azionari, dimostra la capacità degli investitori sovrani di guardare oltre le schermaglie geopolitiche a breve termine guidando l’agenda delle notizie e capitalizzando sulle dinamiche core, in questo caso la continua maturazione della seconda più grande economia al mondo. Particolarmente degno di nota è stato il rapido sviluppo dell’attuazione degli ESG da parte degli investori sovrani, con il loro obiettivo di passare dalle iniziative di governance “G” a un focus ambientale “E”.
Commento a cura di Alex Millar, Head of EMEA Institutional Distribution Sales di Invesco