Anche settimana scorsa i mercati finanziari internazionali sono stati vittima dell’inasprirsi delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e resto del mondo.
Mentre continua infatti la disputa tra Stati Uniti e Cina a colpi di tariffe e provvedimenti su singole società, dopo il caso Huawei è la Cina a contrattaccare mettendo sotto accusa la Fedex, Donald Trump ha alzato il tiro anche contro il Messico, minacciando di imporre tariffe doganali se il Governo messicano non attuerà azioni concrete per frenare i flussi migratori verso gli “States”.
Il timore dei mercati, evidente in particolare dalla dinamica dei rendimenti obbligazionari dei Paesi “core”, è quello che il perdurare dell’incertezza e l’inasprimento delle misure possa incidere sulla crescita economica prospettica, accelerando il movimento verso la fine di uno dei cicli economici positivi più lunghi della storia del dopoguerra, almeno per gli Stati Uniti.
Sul fronte europeo, come anticipato un paio di settimane fa, l’esito elettorale non ha avuto un particolare impatto sui mercati finanziari, dato che a livello complessivo l’avanzata dei partiti sovranisti e populisti è stata contenuta, con alcune notevoli eccezioni, peraltro attese, come nel Regno Unito, Francia e Italia. Il “governo” dell’Europa dovrebbe quindi rimanere nelle mani dei movimenti europeisti costituiti dal blocco dei Popolari, dei Socialisti e dei Liberali. Da sottolineare soprattutto in Germania l’avanzata dei Verdi, che hanno coagulato parecchi voti di protesta contro i partiti tradizionali della CDU e della SPD, arrestando l’avanzata dell’estrema destra della AfD.
I riflessi maggiori sui mercati si sono avuti in Italia dove il ribaltamento dei rapporti di forza tra Lega e 5 Stelle confermato dalle urne inciderà sugli equilibri nella maggioranza di Governo, peraltro già impegnata nella difficile risposta alla lettera ricevuta dall’Unione Europea, che minaccia di attivare la procedura sanzionatoria in caso di deviazione del nostro deficit e della nostra traiettoria del rapporto debito/PIL.
Il bilancio finale della settimana sui mercati azionari vede quindi gli Stati Uniti lasciare sul terreno il -2,62% (Indice S&P 500), con la seduta di venerdì che ha visto la conferma della rottura al ribasso di quota 2.800 dell’Indice, livello molto importante dal punto di vista psicologico e tecnico. I mercati europei ed il Giappone seguono gli Stati Uniti al ribasso, chiudendo rispettivamente a -2,1% (Indice Eurostoxx50) e a -2,44% (Indice Nikkei 225). Il mercato italiano arretra del -2,82%. In controtendenza invece i Paesi Emergenti con un +1,15% dell’Indice MSCI Emerging, che dopo le difficoltà delle ultime settimane mettono a segno un rimbalzo, guidati da India, sulla scorta dei risultati elettorali, Cina e Brasile.
Quanto ai mercati obbligazionari, come accennavamo poco sopra, si sta assistendo ad un vero e proprio collasso dei rendimenti sulle curve statunitensi e tedesca. Il decennale USA è calato al 2,12% (-20 punti base) e la curva si è di nuovo invertita nel tratto 2-5 anni con rendimenti rispettivamente all’1,92% e 1,91%, mentre il Bund tedesco ha toccato un record di rendimento negativo al -0,2% (-8 punti base). Lo spread italiano, nel frattempo, tocca di nuovo quota 290 per poi chiudere la settimana a 287 punti base, +20 rispetto al venerdì precedente. Tale comportamento sulle curve principali è da ascriversi in parte alla fuga verso la qualità scatenata dai ribassi azionari, ma in grande parte ai timori di un rallentamento economico causato come detto dalle dispute commerciali.
Tali timori sono evidenti anche sui mercati delle commodity dove il prezzo del petrolio Brent è crollato a 62 dollari al barile in settimana (-8,1%).
Infine, sulle divise rafforzamento classico dello Yen nelle fasi cosiddette di “risk off” e rafforzamento del dollaro nei confronti dell’Euro che scende di nuovo sotto quota 1,12, chiudendo a 1,1167.
In conclusione, all’arrivo gradito ed improvviso dell’estate meteorologica corrisponde un innalzamento anomalo delle temperature sui mercati finanziari. L’inasprimento delle guerre commerciali sta portando con sé timori di rallentamento economico a livello globale, che inciderebbe negativamente sul ciclo degli utili aziendali. I mercati obbligazionari chiamano ad alta voce in soccorso le Banche Centrali, in particolare la FED, affinché possano agire da pompieri e prevenire gli incendi dovuti alle alte temperature. Ma sarà sufficiente l’aiuto delle Banche Centrali a domare questo “vento caldo dell’estate che ci sta portando via”?
A cura di Giordano Beani, head of Multi-Asset Fund Solutions di Amundi SGR