Per i mercati finanziari agosto è stato un mese da dimenticare, Powell ha cambiato linguaggio e il mercato ha dovuto cambiare le aspettative: è stata spazzata via l’ottimistica, o perlomeno prematura narrativa di una inversione dei tassi dietro l’angolo.
L’incertezza si riflette nei comportamenti dei mercati. L’indice VIX si aggira da circa due anni intorno alla quota 25, quasi otto punti al di sopra della media del 2010 e l’indice Merrill Lynch Options Volatility Estimate (MOVE), l’equivalente del VIX per il mercato obbligazionario, è nell’intorno dei valori del marzo 2020, quando il Covid-19 disseminava il veleno del panico. Se il VIX è conosciuto come “indice della paura”, potremmo definire il suo omologo obbligazionario “Scary MOVE”.
Tutto gira attorno all’energia, pesa la guerra economica con la Russia che usa il gas come un’arma contundente. Agli effetti delle sanzioni si aggiungono i rapidi cambiamenti sul fronte ucraino: il nervosismo del governo russo aumenta la posta sul tavolo, gli esiti del prossimo futuro possono essere i più inattesi.
Tuttavia, non basteranno la buona volontà politica e investimenti anche ingenti nelle fonti rinnovabili: il motore dell’economia del mondo dipende ancora fortemente dai combustibili fossili. Vaclav Smil documenta che la quota di combustibili fossili nell’approvvigionamento energetico è diminuita in Germania dall’84% circa nel 2020 al 78% di oggi. Troppo poco, a dispetto dei vertici internazionali e delle millanta dichiarazioni di intenti, nei primi decenni del nuovo secolo il consumo globale di combustibili fossili è aumentato del 45%.
Quando finiranno le oscillazioni dell’inflazione? Quando i mercati riacquisteranno finalmente un assetto sostenibile? Sono queste le domande degli investitori che devono però evitare esercizi previsivi, fallaci, e provare invece a distinguere i segnali dai rumori. Gli psicologi comportamentali mettono in guardia dal cosiddetto “sovraccarico cognitivo”: l’eccesso di informazioni rende più difficile distinguere ciò che è rilevante da ciò che non lo è, trascurare i rumori e cercare di riconoscere individuare le poche notizie che rivelano cambiamenti o inversioni
Qualche segnale non manca, il prezzo del petrolio è sceso, la discussione sul tetto al prezzo del gas lo ha curvato verso i livelli di agosto, e se negli Stati Uniti l’ultimo dato dell’inflazione “core” non allenta la determinazione della Fed, i Non-Farm Payrolls segnalano un raffreddamento del mercato del lavoro.
Pur evitando azzardi previsivi, la nostra ipotesi è che nel medio termine la crescita tornerà al passo modesto del pre-pandemia. Nel frattempo, però, le scelte allocative di breve termine devono fare i conti con il ritiro della liquidità e il rallentamento dell’attività economica.
Difendere il rendimento reale nel breve termine è estremamente difficile: l’oro è imprevedibile e i titoli obbligazionari legati all’inflazione non proteggono perché, dopo la fiammata, nel medio tempo scontano il rientro dell’inflazione. Nel medio lungo termine il rendimento reale è fornito dalle azioni, componente strutturale di qualsiasi portafoglio equilibrato.
La preferenza geografica va agli Stati Uniti, i Mercati Emergenti hanno i venti contrari del dollaro forte e del rallentamento dell’economia globale, restano una scelta di medio lungo termine e anche in questo caso si riconosce qualche segnale, ad esempio la forte crescita economica del Brasile, dove il ciclo di inasprimento monetario è più avanti. Anche la Cina resta una scelta allocativa di medio periodo ma a breve termine l’economia cinese è frenata dal mercato immobiliare e dalle politiche di tolleranza zero al Covid.
L’allontanamento delle prospettive dell’allentamento della politica monetaria della Fed cambia le scelte tattiche obbligazionarie: i tassi reali sono saliti mentre le prospettive di inflazione a medio lungo rientrate: il Treasury a 2,70% scontava un taglio dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve nel corso del 2023 ma il cambiamento di linguaggio di Powell il 27 agosto ha spostato in avanti le attese di ritracciamento e innescato nuove vendite; il Treasury è tornato nell’intorno di 3,2% con la struttura dei tassi invertita.
Anche se non siamo al picco, e considerando quanto sia improbabile, o difficile, individuare i massimi e i minimi, chi ha tempo e pazienza può cominciare a ricostruire posizioni sui governativi americani a lunga, ragionevolmente più stabili rispetto alla parte corta della curva.
Prudenza invece sulle obbligazioni ad alto rendimento: gli High Yield non beneficiano più delle prospettive di cambio della politica della Fed e restano alle prese con tassi più alti (che rendono più oneroso il debito) e con le deboli prospettive dell’attività economica.
A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR