L’inflazione di ottobre negli Stati Uniti ha registrato l’incremento di 7,7%, il quarto calo consecutivo e la rilevazione più bassa degli ultimi dodici mesi, molto al di sotto della rilevazione di settembre (8,2%) e delle attese (8%). Si corrobora il convincimento che ci si allontani dal picco di 9,1% toccato in giugno. Anche il dato dell’inflazione “core” ha sorpreso positivamente, l’aumento dei prezzi, al netto di alimentari ed energia, è aumentato del 6,3% su base annua, sotto le attese di 6,5% e del 6,6% del mese precedente. I mercati hanno reagito immediatamente, l’indice S&P 500 è cresciuto del 5,5%, il Nasdaq Composite ha chiuso a 7,4%, la miglior giornata negli ultimi due anni e mezzo. Stessa storia nelle obbligazioni, il Treasury a due anni è sceso di 25 punti base a 4,3%, il titolo decennale è sceso di 27 punti base a 3,8%, il calo più netto dal marzo 2020.
Ha reagito anche il dollaro, subito dopo la pubblicazione del dato è sceso del 2,3% rispetto al paniere delle sei valute (indice DXY: euro, yen, sterlina, dollaro canadese, corona svedese, franco svizzero). L’idea che si fa strada è, ovviamente, che il rallentamento dell’inflazione negli Stati Uniti rallenti anche l’azione restrittiva della Federal Reserve. Da oltre il 5%, il tasso obiettivo della Fed scontato dai mercati è tornato a 4,8% atteso nel primo trimestre del 2023.
I mercati sembrano cancellare i rischi dell’inflazione al rialzo ma una rilevazione non basta per annunciare il “liberi tutti”. È altrettanto vero che nei mercati “cova la voglia di ripartenza” e il ritracciamento dell’inflazione è la precondizione per tutto il resto. Ancora poche settimane fa il mercato era nel bel mezzo del sell-off globale, tra marzo e settembre i rendimenti del decennale sono cresciuti del 2,2%, violenta reazione del mercato allo scenario di alti prezzi dell’energia, alta inflazione, tassi in aumento e rallentamento economico. L’esperienza del crollo e del rapido recupero dei listini nelle drammatiche settimane tra febbraio e marzo 2020 dovrebbe aver insegnato che quando si verificano ampi e bruschi movimenti di mercato in periodi di tempo brevi, qualcosa prima o poi si rompe e il paradigma cambia. Il rischio maggiore è quello dell’entusiasmo, di scommettere troppo e troppo presto sull’ipotesi della sostenibilità della svolta, è l’errore commesso a luglio.
Se guardiamo al “momentum” dell’inflazione piuttosto che al dato anno su anno, come ha invitato a fare lo stesso Powell, smussiamo volatilità e stagionalità: la metrica del “momentum” mostra che il livello obiettivo del 2% è ancora lontano (nessuna sorpresa ovviamente) ma il rallentamento è fuori dubbio.
La decongestione delle catene della fornitura allenta le pressioni sui prezzi, l’Indice Global Supply Chain della Fed di New York sta rientrando dai picchi di metà anno, i rischi non sono finiti ma le rilevazioni vanno nella direzione giusta. Non sappiamo se la svolta sia davvero dietro l’angolo, sappiamo però che diversificazione e orizzonte temporale hanno sempre premiato la pazienza e che sono gli strumenti più efficaci per scansare il rischio della compiacenza, dell’ottimismo negligente.
Sull’altro piatto della bilancia, il rischio che l’eccesso di ottimismo induca la banca centrale a procedere lentamente, alimentando così le aspettative di inflazione negli Stati Uniti e rendendo necessari interventi ancora più restrittivi. La Federal Reserve non smetterà di alzare i tassi ma ai mercati importa soprattutto vederne la fine.
Vale la pena tornare a guardare al reddito fisso nell’ultima parte di un anno che per l’asset class è stato il peggiore degli ultimi decenni. Nei mesi scorsi il massiccio deflusso dei capitali si è orientato verso il rischio azionario e la liquidità. Le pessime performance delle obbligazioni e la delusione degli investitori sono la parte sgradevole di un anno complesso, ma queste stesse obbligazioni si presentano ora con la promessa dei rendimenti più interessanti degli ultimi anni. Il dollaro è il canarino nella miniera che segnalerà il ritorno del favore anche al debito emergente. La forza del biglietto verde e l’aumento dei tassi sono stati tra i maggiori ostacoli a una classe di attivo che offre rendimenti reali elevati e valutazioni a buon mercato, un luogo dell’investimento in cui varrà la pena posizionarsi.
A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR