Quella che ci apprestiamo a vivere sarà un’estate calda anche nei prezzi, l’Artico che si scioglie sono i costi dell’energia che alimentano l’inflazione e sono causa di frequenti “fenomeni estremi” nei mercati. In Europa, a seguito della riduzione delle forniture di gas dalla Russia, in giugno i costi della bolletta energetica sono aumentati di oltre il 40%, i prezzi di prodotti alimentari, alcolici e tabacco sono aumentati di quasi il nove percento.
Ma l’altro motore che alimenta l’inflazione, oltre ai prezzi, sono le aspettative sull’inflazione futura: la banca centrale deve intervenire per conservare sufficiente credibilità e deve dimostrare ferma determinazione se vuole impedire che si formino perversi automatismi tra inflazione rilevata e inflazione attesa. L’ultima rilevazione dell’inflazione nell’Eurozona, 8,6%, accresce le probabilità che l’intervento sui tassi di luglio sarà superiore ai 25 punti base annunciati dalla presidente Lagarde.
Per i banchieri di Francoforte si complica il trilemma: invertire la direzione della politica monetaria, non causare danni eccessivi al l’attività economica, non esacerbare la frammentazione finanziaria con i paesi fiscalmente più deboli. Un esercizio che sembra privo di soluzione, la recessione sembra più vicina, i mercati prezzano una discesa dei tassi nel 2023 mentre il Rapporto annuale della Banca dei Regolamenti Internazionali mette in guardia dalle probabilità di un “atterraggio duro” se dovesse persistere un’inflazione elevata.
Nella lunga estate calda dei mercati scende quello che è salito grazie all’ondata di liquidità delle banche centrali, è questa la grande differenza con le crisi del passato, quando il “boom and bust” riguardava singoli settori che generavano effetti aloni anche ampi ma che lasciavano illesi alcuni settori o aree. Oggi è diverso, la marea ha fatto salire tutte le barche, ora che si ritira tutte le barche tornano a scendere.
Nell’ultima settimana del semestre c’è stata una certa ironica simmetria, i listini sono stati negativi come il semestre che hanno chiuso. Per l’indice S&P 500 la performance di questi sei mesi è stata la peggiore dal 1970, il Nasdaq registra perdite attorno al 30%, il Bitcoin è crollato di quasi il 60% e ripiega in disordine nelle “valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza”. Non è andata meglio ai mercati obbligazionari, si sgonfiano i prezzi spinti in alto dai rendimenti negativi, i Treasury sono sotto dell’11%, i Bund tedeschi e gli altri decennali dell’Eurozona perdono tra il 12% e il 13%.
La gran parte dei risparmiatori o, perlomeno, la gran parte di quei risparmiatori con qualche competenza finanziaria o assistiti dalla consulenza professionale, tende a sopportare con buona grazia i rovesci dei listini azionari, sanno che nel breve termine i guadagni di borsa sono come “il tesoro dei folletti, ora rugiada dell’aurora, ora lacrime”, come scriveva José de la Vega nel 1688. Risultano però meno comprensibili, e sopportabili, le sottoperformance nella componente obbligazionaria che ha vanificato gli effetti della diversificazione.
Tutto gira attorno all’energia, l’inflazione è guidata dall’aumento dei prezzi di gas e petrolio, a loro volta funzione della guerra e dei nuovi equilibri globali. Per quanto imprevedibili siano i fattori politici, noi non attribuiamo molte probabilità all’ipotesi che l’inflazione “potrebbe terminare molto bruscamente” e neppure che “la vera inflazione potrebbe non essere ancora emersa” come ha scritto un analista. Pensiamo che nel lungo termine la crescita tornerà ad avanzare a tassi modesti nell’ipotesi della “stagnazione secolare”. Sarà la debolezza dell’attività economica a stemperare l’inflazione.
Ma anche in uno scenario cupo non mancano segnali positivi. Nell’Eurozona l’inflazione di fondo, che esclude i prezzi più volatili dell’energia e dei generi alimentari, ha registrato in giugno un lieve rallentamento al 3,7%. E se l’inflazione in Spagna e in Italia è stata sopra le attese, in Germania ha sorpreso favorevolmente grazie ai trasporti pubblici meno costosi e al taglio delle tasse sui carburanti.
Negli Stati Uniti il tasso di breakeven a 5 anni, a marzo a 3,5%, è ora attorno a 2,6%. I mercati condizionano le performance dei portafogli ma è aperto il dibattito su quanto esse siano condizionate soprattutto dalle emozioni.
Nel breve termine le fasi negative comportano perdite dolorose ma, se si pensa al ritiro della marea, si pensi che è in corso la rivalutazione dei flussi di cassa futuri, i valori fondamentali delle società non cambiano, nel lungo periodo i mercati azionari restano la bilancia che pesa il reale valore delle società. In definitiva, fasi come questa costituiscono un robusto test comportamentale, il “crogiuolo del dolore” che tempra le competenze e mette a prova la virtù della pazienza.
A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR