L’economia globale sta vivendo un cambiamento di paradigma che richiede nuovi approcci agli investimenti. Stiamo passando da un mondo di disinflazione benigna ad un’inflazione tendenziale più elevata. Da un mondo di massima liquidità ad un rapido ritiro della liquidità. Da un mondo di volatilità minima ad uno in cui la volatilità sarà probabilmente elevata. Da un mondo che ha visto una rapida e continua globalizzazione negli ultimi trent’anni ad un mondo che per certi versi si sta de-globalizzando. E, cosa forse più importante, da un’epoca di tassi bassissimi ad una di tassi più alti.
L’inflazione è stata il rischio principale per gli investitori nel 2022: sebbene le pressioni sui prezzi si stiano attenuando, non sappiamo dove e quando si stabilizzeranno. Sappiamo che l’inflazione si sta spostando dai beni ai servizi e che, in genere, l’inflazione dei servizi è più persistente. A parte questo, è fondamentale continuare a monitorare i fattori di fondo che ne possono influenzare la dinamica nel periodo a venire: tassi di disoccupazione molto bassi nonostante il calo della domanda, tassi di occupazione in calo e carenza cronica di competenze in alcuni settori.
Un’inflazione persistente e diffusa sta costringendo le banche centrali di tutto il mondo ad inasprire aggressivamente le politiche e ad adottare misure di Quantitative Tightening (QT) dopo un lungo periodo di Quantitative Easing (QE). Mentre il QE ha avuto l’effetto desiderato di smorzare la volatilità e spingere al ribasso i tassi di interesse a lungo termine, il QT può essere considerato come una forza opposta, anche se non agisce in modo simmetrico. Il problema principale è che non abbiamo ancora visto l’impatto del QT sul mercato e questo rimane una delle maggiori “incognite” o rischi. È possibile che ci aspettino ulteriori episodi di volatilità.
I mercati ribassisti si presentano in tre fasi. In primo luogo, c’è una compressione multipla: abbiamo ampiamente superato questa fase. La seconda fase è quella in cui gli utili si azzerano – e i risultati aziendali del terzo trimestre suggeriscono che siamo appena entrati in questa fase negli Stati Uniti. I margini di profitto netto dell’S&P500 si sono ridotti su base annua per la prima volta dopo la pandemia, mentre le previsioni di crescita degli EPS per il 2023 sono state tagliate. La fase finale è la capitolazione. Quest’anno è stato certamente volatile, ma vale la pena notare che non abbiamo ancora assistito al picco estremo di volatilità tipicamente associato ai punti di flesso del mercato, come quelli di fine 2008 e inizio 2020. Vale anche la pena di sottolineare che volatilità e rischio vengono spesso confusi. La volatilità è associata a mercati con tendenze al ribasso, ma non comporta necessariamente il rischio di distruzione permanente del capitale. Anzi, la dislocazione del mercato che si verifica con l’aumento della volatilità può offrire opportunità ai gestori attivi.
Dopo l’importante azzeramento delle valutazioni di quest’anno, tutte le principali asset class – ad eccezione dell’azionario statunitense – sono a buon mercato rispetto agli ultimi quindici anni. Questo è un buon punto di partenza. Le principali valute, tra cui lo yen, l’euro e la sterlina, sono tutte scambiate ai minimi di molti decenni, circa il 35-50% al di sotto dei loro valori fondamentali. Il premio per la sicurezza – il dollaro USA – non è mai stato così alto.
È stato un anno difficile per gli investitori, ma mentre guardiamo al 2023 è importante ricordare che i benchmark guardano al passato. Il futuro è diverso, lo è sempre: ciò significa che anche l’approccio degli investitori al mercato in questo nuovo regime dovrà essere diverso.
Sebbene al momento i fondamentali del credito e la spesa al consumo siano favorevoli, non è affatto da escludere un deterioramento su entrambi i fronti. Il rallentamento della crescita e l’inflazione espongono a rischi e l’inflazione, in particolare, mette in discussione la sostenibilità dei margini di utile delle imprese. Detto questo, una grave recessione non è al momento il nostro scenario di base, data la situazione patrimoniale ancora robusta degli emittenti finanziari e non finanziari. Tuttavia, il sentiment degli investitori è diventato negativo e l’interesse per il credito potrebbe continuare a diminuire, soprattutto se l’asset class dovesse registrare rendimenti complessivi negativi per un periodo prolungato. Si prevede inoltre un calo della spesa al consumo, che potrebbe compromettere la crescita economica.
In un contesto macroeconomico particolarmente volatile come quello attuale e destinato a rimanere tale, una selezione attenta a livello di società e settori rimane fondamentale per investire con successo nel credito.
A cura di Justin Thomson, Head of International Equity, T. Rowe Price.