Quando si muove la Fed nessun luogo è sicuro. Se poi si muove anche la banca centrale dell’Eurozona le cose si complicano: la settimana scorsa è stata segnata da un “uno-due” che ha mandato al tappeto le borse. L’inflazione negli Stati Uniti è salita all’8,6%, un valore superiore alle attese (8,3%) e il più alto dal dicembre 1981.
La reazione dei mercati è stata brutale, evitare la recessione si fa più complicato, le borse non sembrano comprare al valore facciale le promesse di Powell di guidare l’economia verso l’atterraggio morbido, cresce invece la probabilità di un doloroso “hard landing”. Nell’economia americana un canale importante di trasmissione della politica monetaria è il settore immobiliare, l’edilizia abitativa sarà la prima ad avvertire gli effetti dell’inversione di marcia della Federal Reserve nella ripresa del controllo dell’inflazione, questa volta però le banche sono più robuste e patrimonializzate rispetto al 2008.
Anche in Europa l’inflazione è sopra l’8%, la banca centrale dell’Eurozona ha aggiornato le sue proiezioni, quest’anno l’aumento dei prezzi al consumo raggiungerà il 6,8% (la stima di marzo era 5,1%), scenderà a 3,5% nel 2023, a 2,1% nel 2024. Giovedì scorso i banchieri di Francoforte hanno fatto conoscere la sequenzialità dei loro interventi: dal 1° luglio verranno sospesi gli acquisti netti di titoli, nella riunione del 21 luglio verrà deliberato l’aumento dei tassi di interesse nella misura di 25 punti base, l’aumento di settembre potrà essere più consistente se le prospettive di inflazione nel medio termine persisteranno o si deterioreranno.
La conferenza stampa di Christine Lagarde ha sollevato il velo di Maya su un’anomalia e due debolezze:
- L’anomalia è quella dei tassi negativi; si tende a dimenticare che il primo aumento dei tassi dopo undici anni non è un inasprimento della politica monetaria in senso stretto, l’inflazione mette la parola fine all’esperimento dei tassi negativi avviato nel 2015, il paradosso per cui si paga per prestare denaro. La durata e l’intensità della stretta monetaria saranno in fase con l’evoluzione dello scenario e dei prezzi delle materie prime, è prematuro fare stime o previsioni, tutto gira attorno all’inflazione, al prezzo delle materie prime, alla guerra;
- Si solleva il velo di Maya sulla fragilità della crescita europea, nell’Eurozona l’inflazione non è dal lato della domanda, come negli Stati Uniti, ma dal lato dell’offerta. La BCE ha rivisto al rialzo le proiezioni sull’inflazione e al ribasso le stime di crescita, 2,8% nel 2022, 2,1% nei due anni successivi. Gli indicatori di fiducia si stanno deteriorando, le famiglie sono più deboli rispetto alle famiglie americane, le attività economiche già gravate dal maggior costo della bolletta energetica dovranno fare i conti con più costose condizioni creditizie. La reazione fortemente negativa dei mercati sconta nell’Eurozona i maggiori rischi di recessione, il rendimento reale a cinque anni a termine è salito più rapidamente che negli Stati Uniti;
- La seconda debolezza è relativa alla vulnerabilità dei paesi a maggior debito. A differenza delle altre banche centrali, a fronte di qualsiasi manovra di inasprimento della politica monetaria la Banca Centrale Europea deve tenere conto dei contraccolpi sul mercato dei titoli sovrani. Gli acquisti massivi di titoli hanno costituito per anni una sorta di anestetico, un ottundimento alla realtà di debiti che le misure anticicliche hanno ulteriormente dilatato. Preoccupati per la tenuta dei paesi indebitati, gli operatori hanno venduto massicciamente gli asset italiani con un particolare accanimento sul settore bancario, dai bilanci appesantiti da ingenti quantità di titoli di stato.
Il vero arbitro dei destini dell’economia globale sembra sia il consumatore americano: fino ad oggi la spesa per consumi è rimasta robusta ma le ultime rilevazioni dell’aumento dei prezzi e il deterioramento delle condizioni generali spaventano le famiglie americane, il sentiment dei consumatori a giugno è sceso ai minimi storici.
Lo scenario si sta complicando, molteplici le variabili, molti i possibili esiti: non potendo prevedere il futuro, è meglio prepararsi all’imprevedibile. Le storiche e affidabili difese per rendere anti-vulnerabili i portafogli, come scrive il professor Legrenzi, sono la diversificazione, la decorrelazione e il tempo.
Quando lo scenario è indecifrabile, e l’eccezionalità di quanto sta accadendo rende il confronto con il passato di debole aiuto, meglio confermare la fedeltà al metodo ed esercitarsi nella virtù della pazienza.
a cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR