Le linee guida della medicina suggeriscono spesso di attendere la persistenza di sintomi lievi o moderati prima di rivolgersi al medico. Questo per il semplice motivo che molte patologie si risolvono nel giro di una settimana o poco più. Ma per molti investitori oggi i “sintomi” dell’inflazione si sono protratti troppo a lungo, con l’inflazione complessiva degli Stati Uniti che a marzo ha raggiunto l’8,5% su base annua e il 7% nel Regno Unito. Questa marcia apparentemente inarrestabile verso l’alto dei prezzi è problematica dal punto di vista degli investimenti per diversi motivi.
In primo luogo, l’inflazione – soprattutto quando aumenta più rapidamente dei salari – frena la domanda dei consumatori, poiché una quota maggiore del reddito disponibile viene spesa per beni di prima necessità come cibo, alloggi ed energia. Ciò lascia meno spazio alla spesa in altri settori dell’economia. Il secondo meccanismo è rappresentato da una politica monetaria più restrittiva, che frena la domanda sia rallentando la creazione di credito, sia rendendo il risparmio relativamente più attraente della spesa. I mercati prevedono che la Federal Reserve (Fed) alzerà i tassi di interesse fino al 2,5% nel 2022. Il terzo modo in cui i tassi danneggiano gli investitori è l’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato. Questi ultimi comprendono una componente di crescita e una di inflazione, e quest’ultima è aumentata in quanto gli investitori obbligazionari hanno previsto un’inflazione futura più elevata. L’aumento dei rendimenti non solo danneggia gli operatori attualmente esposti al comparto obbligazionario, ma danneggia anche gli investitori azionari, in quanto i rendimenti obbligazionari vengono utilizzati come parametro di riferimento per valutare i flussi di cassa futuri di tutti gli strumenti finanziari.
Le cause dell’inflazione odierna sono molteplici, ma per ognuna di esse vediamo una potenziale risoluzione. Prendiamo ad esempio la carenza di manodopera dovuta alla risposta alla pandemia negli Stati Uniti e nel Regno Unito. In entrambi i casi, gli assegni di assistenza federale e i programmi di licenziamento sono terminati. Ciò sta gradualmente costringendo i lavoratori a tornare sul mercato del lavoro, mentre i risparmi accumulati negli ultimi due anni iniziano ad esaurirsi.
Nel frattempo, la mancanza di semiconduttori ha bloccato la produzione di un’ampia gamma di beni di consumo come gli autoveicoli, causando ritardi e aumenti dei prezzi che contribuiscono ulteriormente all’inflazione. Ma la buona notizia è che il settore è sempre stato soggetto a periodi di scarsità e abbondanza: il più grande produttore di semiconduttori al mondo, Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), ha recentemente annunciato un investimento di quasi 44 miliardi di dollari per aumentare la capacità produttiva quest’anno. Anche Intel ha in programma un investimento di 28 miliardi di dollari per due nuovi stabilimenti in Ohio, mentre Samsung ha ipotizzato una spesa in conto capitale di oltre 33 miliardi di dollari. I prezzi elevati dell’energia sono stati un altro motore dell’inflazione, ma anche in questo caso ci sono segnali di attenuazione.
Ma quando inizieranno realmente a raffreddarsi i dati sull’inflazione effettivamente dichiarati? In realtà, potrebbe essere già successo. L’ultimo dato sull’inflazione negli Stati Uniti ha rivelato che l’impennata iniziata nel 2021 potrebbe aver raggiunto il picco. Sebbene il già citato dato principale dell’IPC statunitense dell’8,5% appaia– esageratamente alto, gli aumenti mensili dell’indice core (che esclude i costi di cibo ed energia) hanno iniziato a ridursi. A marzo l’indice ha registrato un aumento mensile dello 0,3%, il ritmo più lento degli ultimi sei mesi. Il rallentamento è stato piuttosto ampio. L’aumento dei prezzi delle auto nuove è rallentato perché i produttori hanno iniziato a ricevere i semiconduttori di cui avevano bisogno e questo ha tolto pressione al mercato dell’usato, che stava affrontando gravi distorsioni dei prezzi. Anche i costi delle abitazioni si sono attenuati.
A nostro avviso, ciò ha profonde implicazioni nella costruzione dei portafogli. Sebbene sia legittimo opporsi all’opinione diffusa di un aumento permanente dell’inflazione, è probabilmente la natura imprevedibile dell’inflazione stessa che dovrebbe indurre a una maggiore cautela prima di apportare modifiche al portafoglio che presuppongano deviazioni permanenti dal percorso storico di aumento dei prezzi. L’accumulo di obbligazioni inflation-linked, già molto costose, o di attività reali molto care, come le materie prime e gli immobili, non farà altro che aumentare la sensibilità del portafoglio a questo fattore notoriamente inconoscibile, creando un’esposizione rischiosa al calo dei prezzi.
Una potenziale soluzione a questo problema consiste semplicemente nell’individuare gli asset che si configurano come investimento a lungo termine, ma che hanno anche la capacità di esercitare comunque un potere di determinazione dei prezzi nel tempo. In primo luogo, vengono in mente le azioni globali, che si basano su forti rendimenti degli utili rispetto ai tassi privi di rischio, ma anche sulla capacità storica di generare rendimenti reali nel tempo. In particolare, l’asset class ha prodotto un rendimento reale del 7% dal 1870 al 2015, secondo uno studio del 2017. Gli investitori potrebbero quindi considerare di perseguire trend strutturali di lungo periodo per i loro portafogli, che potrebbero fornire una protezione incidentale dall’inflazione, piuttosto che affrontare il problema di petto per poi scoprire l’anno successivo che non è più motivo di preoccupazione.
A cura di Julian Howard, Lead Investment Director, Multi Asset Portfolios di GAM Investments