Sergio Trezzi illustra l’andamento dell’industria, tra fusioni e acquisizioni, innovazioni, effetti della Mifid 2 sulle reti e integrazione tra gestione attiva e passiva grazie a nuovi prodotti.
L’intervista esclusiva a Sergio Trezzi tratta dal numero di settembre/ottobre 2018 di Asset Management.
L’ingresso di nuovi player come Vanguard, la pressione verso il basso sulle commissioni e la necessità di economie di scala stanno caratterizzando il mercato del risparmio gestito e in particolare quello degli exchange traded funds. Negli ultimi anni ci sono state importanti operazioni di fusione e acquisizione, tra cui quella tra Pioneer Investments e Amundi, l’unione di Aberdeen e Standard Life e quella di Henderson e Janus Capital. Tra le più recenti, la fusione di due grandi società operative nella gestione passiva: Etf Securities e WisdomTree. Il gruppo Invesco, invece, si è mosso già dal 2006 e fino a qualche mese fa ha realizzato una serie di acquisizioni strategiche nel segmento degli Etf che lo hanno portato a diventare il quarto gestore di questi strumenti a livello globale. Strumenti che nei primi sei mesi del 2018 hanno visto flussi in entrata pari a 233 miliardi, in calo rispetto ai record del 2017, soprattutto per le tensioni sui mercati azionari e i dazi dell’amministrazione Trump.
Nonostante tra gli investitori retail sia ancora scarsa l’informazione su questi prodotti e sussistano i timori legati alla gestione passiva, come testimonia il sondaggio del Centro studi Le Fonti sui trend di settore, con l’avvento di Mifid 2 e un maggiore coinvolgimento delle reti di distribuzione, le prospettive di crescita del business sono positive. A condizione però che il brand sia ben solido e il gruppo abbia dimensioni rilevanti. E che la conoscenza dello strumento sia più diffusa. Lo ha confermato a Asset Management Sergio Trezzi, managing director, head of retail distribution Emea (ex Uk) & Latam.
Il mercato del risparmio gestito si sta sempre più concentrando, attraverso importanti fusioni e acquisizioni. Quali sono le ragioni all’origine di questo fenomeno? E che impatto può avere per gli investitori?
Sergio Trezzi: Credo che il consolidamento del mercato del risparmio gestito sia un fenomeno naturale e, dunque, un trend che vedremo sempre di più nei prossimi anni. La volatilità dei mercati, la complessità della normativa, la pressione sui costi, le nuove tecnologie e l’evoluzione delle tematiche di investimento quali attivo, passivo, alternative, factor investing e smart beta rendono necessarie dimensione globale e processi strutturati per poter rispondere qualitativamente alle necessità della clientela.
Questo fenomeno di concentrazione oggi è molto evidente nel segmento degli Etf…
Sergio Trezzi: Sì, recentemente abbiamo visto numerosi asset manager entrare nel mercato degli exchange traded funds, spesso proponendo una manciata di Etf. Tuttavia, se da un lato offrire qualche Etf è fattibile per qualunque gestore, i fatti e i numeri dimostrano che gli Etf sono un business in cui quello che conta, e che fa la differenza, è la dimensione. La disponibilità di una presenza e di una distribuzione globale risultano fondamentali per sfruttare le economie di scala, che per il business degli Etf sono un «must». Per un player, la rilevanza della dimensione è confermata dalle necessità dei clienti appartenenti ai diversi canali distributivi (dall’istituzionale al gestore, dal wealth management ai consulenti finanziari) di potersi avvalere di soluzioni Etf per coprire alcune specifiche aree di investimento del proprio portafoglio; soluzioni quindi azionarie e obbligazionarie, core e satellite, cap-weighted e smart beta, che solo una società di gestione con una gamma di soluzioni che coprono tutte le aree del mercato degli investimenti, una capacità di servicing elevata e un business consolidato a livello internazionale può offrire.
Invesco è stata protagonista di questa tendenza: da PowerShares nel 2006, passando per Source nel 2017 e Guggenheim nel 2018. Che riscontro state avendo?
Sergio Trezzi: Invesco è stata lungimirante nel capire come la clientela fosse interessata a indentificare la migliore soluzione di investimento, indipendentemente dalla “scatola” o veicolo prescelto. Per questo motivo è entrata nel mercato degli Etf nel 2006, oltre 10 anni fa con l’acquisizione di PowerShares. Partiti da 5 miliardi di attivi in gestione, oggi Invesco gestisce oltre 250 miliardi in passive/ Etf, off rendo un’ampia gamma di exchange traded funds a livello mondiale, europeo e italiano (oltre 60 Etf listati su Borsa Italiana). L’acquisizione di Source e Guggenheim e l’adozione di un unico brand (Invesco) rappresentano passi concreti del ruolo primario che abbiamo oggi nel mercato degli strumenti passivi. Più in generale, Invesco è la sola realtà globale e indipendente nel panorama degli investimenti ad aver raccolto l’intera offerta, passivo, attivo, alternativo, sotto un unico marchio, perché riteniamo che sia il modo migliore per comunicare la centralità del cliente per la nostra azienda. Nell’industria dell’asset management il concetto di integrazione tra prodotti attivi e passivi non era ancora presente e siamo convinti che questo grande sforzo porterà valore all’azienda e ci renderà pienamente neutrali nella distribuzione dei prodotti alla clientela. Una spinta aggiuntiva al cambiamento è arrivata dagli stessi investitori: chi si occupa di una specifica area e seleziona gli strumenti è interessato a capire quale strategia vada meglio incontro alle sue necessità, non alla tipologia del veicolo utilizzato per implementarla.
Strategia attiva e passiva sono sempre più viste come complementari. È d’accordo?
Sergio Trezzi: Concordiamo pienamente, ma vorrei anche aggiungere che se da un lato l’opportunità off erta dalla combinazione di gestione attiva e passiva sta diventando sempre più condivisa nel mercato, dall’altro la realtà di investimento non si limita a questi due sole metodologie, ma coinvolge ormai anche gli approcci fattoriali e quelli alternativi. Il mondo degli investimenti è cambiato, la catena del valore è cambiata, così come la catena della distribuzione. Il ciclo macroeconomico sta diventando più complesso perché non essendo più «Beta driven» come negli anni passati, dove il passivo ha avuto un grande vantaggio, la ricerca di income o di protezione del capitale richiederanno forti capacità di generare valore e di saper identificare la giusta asset allocation. Il risorgere della volatilità, infatti, sta creando non poche sfide sia alla gestione passiva sia a quella attiva. Quest’ultima dovrà infatti dimostrare di essere capace di generare alpha rispetto al mercato.
In ogni caso l’industria degli Etf continua a registrare un tasso di crescita elevato. Quali sono i margini ulteriori di crescita?
Sergio Trezzi: La catena del valore e la catena della distribuzione stanno cambiando e diversi sono i fattori che stanno spingendo questo mercato, la cui crescita vedrà un’ulteriore accelerazione a partire dalla fi ne dell’anno, quando saranno disponibili i dati relativi all’effettiva implementazione della Mifi d 2. I clienti oggi sono in grado di esporre in modo migliore quelle che sono le loro esigenze e quindi di scegliere e combinare soluzioni differenti. Oltre a questo vi sono opportunità in termini di innovazione, sia a livello tecnologico, ma soprattutto a livello di trend che possono essere cavalcati e che le strategie passive possono sfruttare. Basti pensare al trend Esg che, a nostro avviso, non è prerogativa esclusiva di una gestione attiva.
Ha citato Mifi d 2 e i cambiamenti in atto lato distribuzione. Prevedete una maggiore attività delle reti sugli Etf oppure continueranno a essere privilegiati da consulenti indipendenti e istituzionali?
Sergio Trezzi: La Mifid 2 ha sicuramente ampliato significativamente l’utilizzo degli Etf e non solo tra le gestioni patrimoniali, di cui abbiamo già visto numerosi esempi: c’è un fortissimo interesse da parte delle reti di distribuzione e delle banche, perché gli Etf sono sempre più inseriti all’interno di prodotti wrapper sviluppatin prevalentemente per la clientela retail. È fondamentale che l’investitore sia informato sui benefici che può trarre dall’integrazione di questi due approcci all’investimento. Alle opportunità offerte da una buona gestione attiva, infatti, si sommano le potenzialità espresse dagli Etf negli investimenti tematici o a specifiche ristrette asset class, per esempio, così come in strategie mirate alla ricerca di alpha o di protezione, che sino a poco tempo fa erano prerogativa solo di una parte degli operatori istituzionali, o più semplicemente in differenti stili di gestione (per esempio, fattoriali, Smart beta ecc.). Il mondo degli Etf è più dinamico e poliedrico rispetto a qualche anno fa, dunque c’è bisogno di mantenere alta l’informazione e l’educazione finanziaria, perché anche gli investitori si informano e leggono di più, e pertanto sta salendo velocemente l’interesse per questi strumenti anche da parte delle reti e dei consulenti indipendenti.
L’innovazione di prodotto resta centrale nella vostra strategia. di recente avete lanciato nuovi prodotti, i floating rate dote. Di che cosa si tratta?
Sergio Trezzi: Le soluzioni in Etf lanciate recentemente da Invesco portano sul mercato elementi di innovazione, e com’è nella filosofia dell’azienda, vanno incontro a esigenze specifiche richieste dall’investitore in precisi contesti di mercato. In particolare, l’Invesco Floating Rate Note Ucits Etf offre un’esposizione ai floating rate bond, sia denominati in dollari, con e senza la copertura del rischio cambio, sia denominati in euro, con Ter annui ridotti, compresi tra i 10 e i 12 punti base. Le peculiarità di questi Etf sono la replica fisica, senza l’utilizzo del prestito titoli, per evitare il rischio aggiuntivo di controparte, e la selezione di un benchmark estremamente liquido ed efficiente rispetto a quelli di altri competitor. I suoi componenti, infatti, hanno emissioni minime elevate, pari a 500 milioni di euro/dollari, devono essere stati emessi entro gli ultimi due anni e mezzo, e avere una scadenza originaria non inferiore ai due anni e mezzo; questo perché, tipicamente, dopo due anni dall’emissione, questi bond vengono acquisiti dai grandi investitori istituzionali e la loro liquidità diminuisce sensibilmente.
Avete lanciato anche un Etf che intende investire nell’Arabia Saudita, il primo in Europa. Che opportunità può garantire agli investitori? L’Ipo considerata storica del colosso petrolifero Aramco sembra stia slittando. Questo fatto può inficiare le performance del fondo?
Sergio Trezzi: L’Invesco Msci Saudi Arabia Ucits Etf è una vera novità, perché per la prima volta dà accesso all’investitore europeo, attraverso un Etf Ucits, al mercato dell’Arabia Saudita, un’economia in grande trasformazione. Nei prossimi 10/20 anni, infatti, il governo locale farà una serie di privatizzazioni di alcune delle più importanti società a livello globale, in vari settori (oil & gas, health care, financial ecc.), che si stima porteranno flussi pari a 50 miliardi, che andranno a duplicarsi grazie a una serie di Ipo già programmate. In conseguenza di ciò, Msci ha previsto a giugno l’inclusione del paese nell’indice Emerging market, dove avrà un peso del 2,6%, in due distinte fasi, a maggio e settembre del prossimo anno. Trattandosi di un mercato ancora aperto ai soli investitori locali, l’Etf ha una struttura di replica sintetica, che riteniamo essere la più efficiente, e l’interesse è stato così elevato che a un mese dalla sua quotazione sulla Borsa di Londra ha già raccolto 50 miliardi di asset. Inoltre, indipendentemente da quando sarà effettuata l’Ipo di Aramco, direi che questo Etf darà l’opportunità di parteciparvi, cosa non scontata per i piccoli investitori.