Fino alla scorsa settimana quasi tutti gli analisti concordavano sul fatto che Putin non sarebbe entrato con le proprie truppe in Ucraina e invece, dopo aver riconosciuto ufficialmente la Repubblica di Donetsk e di Luhansk, ha prima mosso il suo esercito nella regione del Donbas, poi ha iniziato un attacco alle postazioni militari Ucraine. Gli scenari che si aprono, purtroppo, sono di grande incertezza.
Alla fine, Putin ha sfidato l’Occidente e, dopo aver portato i suoi carri armati nella regione del Donbas, nella notte fra mercoledì e giovedì ha iniziato un attacco su larga scala alle postazioni difensive Ucraine. La risposta della Nato all’ingresso dei carri armati russi a Donetsk e Luhansk si era limitata a sanzioni a istituti di credito e oligarchi russi, ma soprattutto con la sospensione della certificazione da parte del Governo tedesco del nuovo gasdotto Nord Stream 2. Al momento in cui scriviamo, devono essere ancora definite ulteriori azioni da parte dei governi occidentali. Di sicuro le sanzioni finanziarie comminate finora, difficilmente avranno effetti tangibili. L’economia russa ha un debito pubblico ridotto, una bilancia dei pagamenti in surplus e lo stock di riserve in valuta estera più alto nel panorama dei Paesi Emergenti. La sua dipendenza dal capitale esterno è quindi irrilevante e ogni misura mirata a limitare gli afflussi di capitale possono avere un effetto assai contenuto. Diverso invece, è l’impatto del blocco del Nord Stream 2.
Putin sta facendo pressione ormai da diverso tempo affinché la Germania dia il via libera definitivo al gasdotto sottomarino più lungo del mondo. L’opera è fortemente osteggiata da Stati Uniti, Ucraina e alcuni stati membri della Nato, perché ritengono aumenterebbe di molto la dipendenza dell’Europa dalla Russia.
Se per quest’ultima il danno economico è facilmente quantificabile, parliamo di 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno di mancati guadagni, sono invece da valutare quali saranno gli effetti della nuova impennata dei prezzi di petrolio e gas sulla crescita europea. Le imprese dell’Eurozona, che nel 2021 hanno dovuto fare i conti con una bolletta energetica più che raddoppiata rispetto al 2020, difficilmente riusciranno ad assorbire un’ulteriore fiammata. Data la loro forte vocazione all’export, un eventuale scarico dei maggiori costi sui prezzi finali comporterebbe una notevole perdita di competitività. D’altro canto, però, assorbire interamente gli aumenti rischia di erodere i margini mettendo a repentaglio la solidità finanziaria delle imprese. In questa fase occorre quindi estrema prudenza, fino a quando la situazione non si stabilizzerà e la diplomazia potrà tornare nuovamente a lavorare per una risoluzione politica della crisi, la volatilità sui mercati resterà elevata. A questo punto c’è molta attesa anche per le reazioni delle principali Banche Centrali: se da un lato l’aumento dei prezzi delle materie prime alimenterà ulteriormente le spinte inflazionistiche, dall’altro una stretta monetaria aggressiva diventa sempre meno probabile in una situazione di mercato già fortemente condizionata. Se la
crisi dovesse protrarsi a lungo, un impatto negativo sulla crescita economica, in particolare dell’Eurozona, sarà inevitabile.
Commento a cura di Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM (Italia) SGR