È stato un mese intenso per gli investitori e gli osservatori della Fed. Il 1° febbraio, dopo aver annunciato un rialzo di 25 punti base del tasso sui fed funds, la Federal Reserve statunitense ha dichiarato di prevedere che degli “aumenti costanti” sarebbero necessari per portare la politica monetaria nell’intervallo restrittivo necessario per indirizzare l’inflazione statunitense verso un percorso che la riporti, nel tempo, all’obiettivo di lungo periodo del 2%.
Due giorni più tardi, il rapporto sull’occupazione statunitense di gennaio ha innescato un immediato riprezzamento dei mercati obbligazionari verso un livello massimo più elevato per il tasso sui fed funds. Nella settimana successiva, una sfilza di membri della Fed, guidati dal presidente Jerome Powell, ha ribadito il messaggio di “aumenti costanti”. Inoltre, la scorsa settimana, i dati sull’inflazione dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) degli Stati Uniti, più elevati del previsto, e dati sulle vendite al dettaglio più solidi del previsto, nonché ulteriori commenti da parte dei funzionari della Fed, hanno indotto i mercati a prezzare non soltanto i due ulteriori rialzi dei tassi indicati dal dot plot della Fed di dicembre 2022 (parte della sua Sintesi delle Proiezioni Economiche), ma anche la probabilità concreta di almeno un ulteriore rialzo successivo, che porterebbe la parte superiore dell’intervallo per il tasso dei federal funds al 5,5%.
Questi sviluppi illustrano bene l’interazione tra dati, destinazione e dinamiche di mercato che probabilmente si verificherà nell’anno a venire, mentre la Fed cerca di architettare quello che definiremmo un “softish landing” (se non addirittura “soft”) per l’economia statunitense, riducendo la crescita della domanda aggregata in modo da raggiungere un migliore equilibrio con l’offerta aggregata, nel perseguimento del proprio mandato di stabilità dei prezzi a lungo termine. I funzionari della Fed hanno affermato che il rischio di fare troppo poco per ridurre l’inflazione è superiore al rischio di fare troppo. Tuttavia, a nostro avviso, la maggior parte del lavoro più pesante da fare prima di sospendere i rialzi dei tassi entro la fine dell’anno è già stato fatto, anche se il rischio è che il picco del tasso sui fed funds che vedremo in questo ciclo sia più alto se i progressi nella riduzione dell’inflazione saranno più lenti di quanto la Fed si aspetta.
Comprendere gli sforzi intrapresi dalla Fed per contenere l’inflazione aiuta a spiegare gran parte di ciò che stiamo vedendo nei mercati e nell’economia statunitense in generale, e indica cosa osservare e cosa aspettarsi nel corso del prossimo anno.
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I mercati si adeguano ai tassi massimi previsti e alla forward guidance
Il tasso sui fed funds è salito per l’ultima volta al 4,75% (verso il 5,25%!) nel 2006. Sebbene non si tratti esattamente di storia antica, è comunque trascorso un lasso di tempo sufficiente per far sì che i mercati impieghino un po’ di tempo per adattarsi a una curva dei rendimenti ancorata a un tale livello. E bisognerebbe guardare ancora più indietro – addirittura decenni – per risalire all’ultima volta che la Fed ha intrapreso un ritmo di inasprimento monetario così rapido come quello del 2022. Una differenza cruciale oggi rispetto ai precedenti cicli di rialzo dei tassi è la comunicazione: La Fed è diventata molto più trasparente, offrendo proiezioni, obiettivi e indicazioni dettagliate oltre a discorsi, commenti, dichiarazioni e ricerche.
Tuttavia, gli investitori dovrebbero rimanere attenti alle discrepanze che, occasionalmente, si sono riscontrate tra le indicazioni della Fed e alcuni importanti indici delle condizioni finanziarie. Sebbene secondo alcuni indici le condizioni finanziarie si siano leggermente allentate, ricordiamo che la politica monetaria opera con un certo ritardo, il che significa che l’economia statunitense probabilmente non ha ancora assorbito tutta la portata dell’inasprimento della Fed. Come ha indicato il presidente Powell nella conferenza stampa del 1° febbraio, parte di questo apparente scollamento riflette la convinzione diffusa degli investitori (dimostrata dalle valutazioni di mercato) che quest’anno i livelli di inflazione scenderanno più rapidamente di quanto previsto dalla Fed.
Il trade-off tra inflazione e disoccupazione in un contesto di potenziale recessione
Oltre alla sfida di domare l’inflazione, la Fed rimane concentrata sulla valutazione e sul sostegno del livello di massima occupazione nell’economia post-pandemia, in linea con l’obiettivo di inflazione del 2%. Il mercato del lavoro statunitense ha subito una trasformazione significativa dopo la pandemia: la partecipazione alla forza lavoro è crollata, le aziende faticano a coprire le posizioni aperte e gli aumenti salariali sono andati ben oltre un ritmo in linea con la produttività sottostante e con l’obiettivo di inflazione della Fed.
Il 1° febbraio il presidente della Fed Powell ha dichiarato che “il mercato del lavoro continua a non essere in equilibrio”. Sebbene i dati recenti suggeriscano che l’inflazione salariale stia iniziando a rallentare, è probabile che sia ancora necessario un aumento della disoccupazione statunitense per riportare l’inflazione al target del 2%. Ad esempio, secondo le previsioni della Fed, il tasso di disoccupazione potrebbe aumentare di 1,2 punti percentuali quest’anno.
Storicamente, aumenti del tasso di disoccupazione di tale portata si sono verificati solo in occasione di recessioni. Il nostro scenario di base prevede una recessione, ma non tutte le recessioni sono uguali. Non vediamo alcun motivo per credere che il rallentamento della crescita che la Fed sta studiando debba portare a una recessione profonda e prolungata. Ad esempio, nelle relativamente brevi recessioni statunitensi del 1990 e del 2001, la crescita del PIL in quegli anni solari è stata in realtà modestamente positiva e l’aumento del tasso di disoccupazione è stato più o meno in linea con quello previsto dalla Fed per il 2023. Se tra un anno dovessimo guardare indietro e riscontrare che la crescita del PIL nel 2023 è stata positiva e che il tasso di disoccupazione ha chiuso l’anno tra il 4% e il 5%, si tratterebbe probabilmente di un softish landing per l’economia statunitense, anche se probabilmente verrebbe decretata ufficialmente una recessione dal National Bureau of Economic Research (NBER).
Implicazioni per gli investimenti
Con i rialzi dei tassi ormai alle spalle e l’impegno della Fed a riportare col il tempo l’inflazione al target, le filosofie d’investimento che sono state utili a molti investitori prima del 2022 sono tornate di nuovo attuali. Si pensi ai concetti di base di diversificazione, gestione attiva, mitigazione del rischio. In particolare, i mercati del reddito fisso sono pronti per rendimenti interessanti, dato che i rendimenti di partenza sono a livelli che non si vedevano da anni. Come abbiamo affermato nell’ultimo Cyclical Outlook di PIMCO, “Le obbligazioni sono tornate”, intravediamo opportunità nel reddito fisso core, nei titoli garantiti da ipoteca, nel credito di alta qualità, nelle materie prime e nelle obbligazioni indicizzate all’inflazione.
A cura di Richard Clarida, Global Economic Advisor di PIMCO