Quali saranno le mosse della Fed nei prossimi mesi? Una domanda ricorrente che si fa sempre più pressante anche in relazione alla situazione economica globale e alla nuova ondata pandemica della variante Omicron del Covid-19.
Il segnale più importante lanciato dall’accelerazione del tapering è l’apertura a una serie di aumenti dei tassi nel 2022. Tuttavia, anche se i cambiamenti di politica della Fed rappresentano un punto di inflessione che potrebbe scuotere i mercati, è importante valutare queste notizie in prospettiva. Di seguito riportiamo il commento di Darrell Spence, Economista di Capital Group, che ha analizzato i fattori e tracciato lo scenario più probabile per i prossimi mesi.
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Quali sono i segnali da parte della Fed?
Secondo il dot plot della Fed, attualmente la maggior parte dei governatori prevede tre aumenti dei tassi per l’anno prossimo. Una svolta importante rispetto a settembre, quando soltanto la metà dei membri del FOMC (Federal Open Market Committee) non prevedeva rialzi per tutto il 2022. Un dato che supera anche il consensus di mercato di due interventi nel 2022. Il Presidente della Fed, Jerome Powell, ha inoltre affermato che il comitato avvierà il dibattito sulla riduzione del bilancio della banca centrale.
Quale scenario ci si attende dalle mosse della Fed?
Nel nostro scenario di base prevediamo tre aumenti dei tassi di interesse da parte della Fed nel 2022. Nonostante i toni aggressivi, azioni e TIPS hanno conseguito un andamento positivo dopo l’annuncio e la curva dei rendimenti ha registrato un irripidimento. Se gli asset rischiosi terranno e le condizioni finanziarie resteranno accomodanti, la Fed avrà il via libera per intervenire in modo ancora più aggressivo per contrastare l’inflazione.
La Fed sembra interpretare la variante Omicron come un impulso all’inflazione, ma non sembra essere troppo preoccupata dei rischi che ne conseguono. Powell ha dichiarato che le persone stanno imparando a convivere con il virus nonostante le ondate ricorrenti, suggerendo che le implicazioni economiche potrebbero essere limitate.
Quali i timori e le mosse della Fed per l’inflazione?
La Presidente della Fed di San Francisco Mary Daly, tra i membri più accomodanti del Federal Open Market Committee, è stata tra i primi a sostenere la necessità di accelerare la riduzione degli acquisti di titoli obbligazionari.
Anche altre “colombe”, come Lael Brainard, nuova vicepresidente della Fed, e John Williams, presidente della Fed di New York, hanno dichiarato che, se l’inflazione sarà superiore all’obiettivo, faranno quanto necessario per tenerla sotto controllo. Questo timore sull’inflazione è bipartisan e, di conseguenza, la resistenza politica a un aumento dei tassi per contrastare l’inflazione sarà probabilmente scarsa. Alla fine, tuttavia, nel prossimo futuro continueremo ad avere tassi bassi e rendimenti bassi.
Quali sono le prospettive nel lungo periodo?
Le previsioni a lungo termine emerse dal dot plot sono rimaste invariate e, secondo i calcoli della Fed di Atlanta, il mercato si attende un tasso sui Fed Fund intorno all’1,5% a fine 2024, uno scenario ancora fortemente espansivo. Tuttavia, prevediamo una crescita moderata per gli Stati Uniti nel 2022, poiché gli stimoli fiscali verranno meno e la Fed abbandonerà progressivamente la sua politica espansiva. Nel nostro scenario di base stimiamo una crescita del PIL compresa tra il 2,5 e il 3%, un tasso ancora del tutto rispettabile. E sebbene i periodi di stretta monetaria possano causare una maggiore volatilità sui mercati, riteniamo che gli asset rischiosi continueranno a essere sostenuti da utili solidi. Le valutazioni sono elevate rispetto ai dati storici, ma non eccessive, considerando il livello attuale e previsto dei tassi di interesse. Non escludiamo una leggera correzione, ma non ci attendiamo una flessione sistemica del mercato.
Quali sono i fattori da tenere presente nel 2022?
Detto questo, nel 2022 l’economia probabilmente dovrà affrontare maggiori ostacoli – in particolare l’inflazione – rispetto al 2021. Anche se ancora non sappiamo molto su Omicron, la sua comparsa suggerisce che dovremo convivere con il COVID un po’ più a lungo. Pertanto, il periodo “transitorio” – ovvero il periodo in cui il COVID produce un impatto sull’offerta generando pressioni inflazionistiche – si protrarrà verosimilmente per altri 6-12 mesi, con il conseguente rischio che l’inflazione produca un impatto più negativo sull’attività economica durante tale periodo. Sfortunatamente, la Fed può fare molto poco per aumentare l’offerta. Piuttosto, per ridurre l’inflazione, sarebbe necessario reprimere la domanda, che sostanzialmente significa aprire una fase di rallentamento o recessione dell’economia. Tuttavia, non sappiamo ancora quanto la banca centrale sia propensa a frenare un’economia che – a suo giudizio – potrebbe non aver ancora raggiunto la massima occupazione, soltanto per bloccare il ritorno dell’inflazione. Detto questo, in un’ottica pluriennale, il fenomeno “transitorio” continua ad apparire una possibilità reale. Molti dei fattori che hanno causato un’inflazione bassa negli ultimi decenni, soprattutto la globalizzazione e i progressi tecnologici, sono ancora presenti. Questi fattori potrebbero contribuire a ridurre l’inflazione a lungo termine, ma nel breve termine il COVID e i problemi che ne derivano probabilmente domineranno le prospettive sull’inflazione.
In questa fase riteniamo che i mercati azionari riusciranno a superare la situazione nel 2022, poiché la crescita economica, lenta ma positiva, dovrebbe sostenere gli utili societari. Comprensibilmente, le valutazioni destano molti timori, poiché il rapporto P/E appare elevato rispetto ai dati storici. Tuttavia, è così da molti anni e, nonostante ciò, il mercato ha continuato a crescere. Chi è rimasto fuori dal mercato per i timori sulle valutazioni ha perso molte opportunità.