L’impreparazione al Coronavirus è stata pagata con le vite di centinaia di migliaia di persone e con il danno economico causato a milioni di attività
La pandemia di Coronavirus ha seminato un’ondata di incertezza senza precedenti. Il mondo, semplicemente, non era preparato a un’emergenza sanitaria della portata di quella che abbiamo vissuto nei mesi passati e che stiamo vivendo tuttora. Il costo di tale impreparazione è stato pagato innanzitutto con le vite di centinaia di migliaia di persone. Ma anche con il danno economico causato a milioni di attività costrette a chiudere i battenti, almeno temporaneamente, per ottemperare alle regole di distanziamento sociale.
L’imprevedibilità circa l’evoluzione futura della curva dei contagi e il conseguente impatto economico ci lasciano a navigare in un contesto di visibilità limitata sui possibili scenari di breve termine. Dal punto di vista degli investimenti, questo ci deve indurre alla prudenza. Paradossalmente, soprattutto nella gestione della componente più difensiva di portafoglio, quella obbligazionaria. Nella fase più acuta della crisi, l’universo a reddito fisso è tornato a svolgere in modo efficace quel ruolo di decorrelatore con le azioni che storicamente gli appartiene, ma che tante volte ha abbandonato nell’ultimo decennio a causa delle politiche monetarie straordinarie adottate dalle banche centrali.
Oggi, però, con il Treasury USA decennale che rende lo 0,6% (in dollari) e il corrispondente Bund tedesco -0,5% (in euro), i tassi reali (nominali – inflazione) permangono in territorio fortemente negativo. E la prospettiva, in un mondo sempre più saturo di debito pubblico e privato, è che le banche centrali non farebbero molto per opporsi a una risalita dell’inflazione, consapevoli del fatto che questa sia utile al fine di erodere, almeno in parte, l’immenso ammontare di debito. Di conseguenza, nei prossimi mesi potremmo verosimilmente assistere a un’ulteriore discesa dei tassi reali.
Viene da chiedersi, perciò, se gli investitori debbano necessariamente pagare questo costo, questo premio assicurativo per proteggersi contro i rischi del futuro prossimo. Una soluzione alternativa rispetto alle obbligazioni governative è rappresentata dalle strategie obbligazionarie absolute return, che, grazie alla diversificazione tra fonti di rendimento (tassi, spread e valute) e tra singole posizioni, sono in grado di contenere i drawdown offrendo al contempo un rendimento più allettante. È questo il caso del comparto Pictet-Absolute Return Fixed Income (ARFI) che sin dal suo lancio ha dimostrato la capacità di smussare i movimenti di mercato, attraverso un processo di investimento incentrato sul bilanciamento continuo tra posizioni risk-on (alla ricerca di rendimento) e risk-off (di protezione).
Uno dei fattori più attentamente monitorati dal team di gestione di Pictet-ARFI è la liquidità del portafoglio, il che lo porta a prediligere titoli di qualità molto elevata (le obbligazioni AAA e AA rappresentano oltre il 50% del portafoglio). Come abbiamo osservato nel corso del mese di marzo, infatti, le fasi di crisi acuta sui mercati sono spesso accompagnate da situazioni di stress di liquidità, soprattutto nei segmenti strutturalmente meno liquidi (obbligazioni corporate, in particolare high yield), capaci di vanificare l’articolata costruzione del portafoglio.
Per gli investitori obbligazionari che ricercano non solo protezione, ma anche rendimento da reddito fisso (il famoso income), i rischi sono altri. In particolare, come è lecito aspettarsi in seguito ad una crisi profonda come quella attuale, l’aumento nel numero di default societari nei prossimi 6-12 mesi. I casi recenti di Hertz e Pizza Hut, da questo punto di vista, destano preoccupazione.
Un metodo efficace per contenere il rischio di default si è rivelato quello dell’applicazione dei criteri ESG (Environmental, Social e Governance) nella selezione degli emittenti creditizi: il 78% delle aziende IG fallite negli ultimi 10 anni, infatti, non avrebbe superato uno screening di questo genere. Si tratta esattamente del lavoro che viene fatto all’interno del comparto Pictet-Global Sustainable Credit che di fatto, per quanto non immune al movimento di allargamento degli spread dei mesi passati, ha evitato i già citati casi di default eccellenti.
L’applicazione dei criteri ESG non viene svolto superficialmente, come un mero esercizio formale, ma in modo flessibile, caso per caso, anche sulla base del settore di appartenenza dell’azienda emittente, in modo tale da essere sicuri di prendere in considerazione i rischi ESG effettivamente rilevanti per ciascuna azienda: così, per esempio, una società finanziaria viene valutata soprattutto sulla base dei parametri di governance, mentre per una società energetica risultano dominanti i fattori energetici.
Il risultato è un portafoglio solido (rating medio BBB), fortemente orientato alla sostenibilità, e quindi in grado anche di cavalcare la spinta in tal senso dell’opinione pubblica e dei regolatori, nonché di beneficiare delle politiche green degli ultimi anni e mesi (come dimostrato in Europa da Green Deal e Next Generation EU).
Infine, per chi tramite la componente a reddito fisso ricerca soprattutto decorrelazione resta valida l’alternativa delle obbligazioni cinesi onshore in valuta locale. Come dimostrato dall’andamento Pictet-Chinese Local Currency Debt, nel corso della recente correzione di mercato queste obbligazioni sono state in grado ancora una volta di apportare reali benefici di diversificazione rispetto agli attivi finanziari più tradizionali. A conferire stabilità a questi strumenti è soprattutto l’assoluta dominanza di investitori locali, perlopiù istituzionali. Questi, che rappresentano quasi il 90% di questo immenso mercato obbligazionario (il secondo più grande al mondo dopo quello USA), proteggono infatti le emissioni cinesi dalle fluttuazioni del sentiment degli investitori globali, che tanto affliggono invece il resto del debito dei mercati emergenti.
In aggiunta, a fronte di un merito creditizio elevato (A+), le obbligazioni cinesi onshore offrono anche un rendimento a scadenza prossimo al 5% annuo, introvabile altrove a parità di rischio: basti pensare che nel mondo ci sono circa 14mila miliardi di dollari di obbligazioni a rendimento negativo e che il differenziale di rendimento tra i titoli governativi cinesi e quelli statunitensi è oggi ai livelli più alti degli ultimi 10 anni, prossimo al 2%. Tale preziosa fonte di rendimento risulta ancora più attraente se si considera il fatto che, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, la Cina sarà tra i pochi Paesi al mondo a registrare una crescita positiva del PIL nel 2020 (+1,2%, World Economic Outlook di giugno), contro il crollo che subiranno le economie sviluppate, Italia su tutte.
Un’ultima considerazione riguardo la componente difensiva di portafoglio non può che interessare il Pictet-Multi Asset Global Opportunities (MAGO). Il fondo multi-asset rappresenta a tutti gli effetti il primo passo al di fuori del mondo obbligazionario puro, in grado di offrire protezione e stabilità adattandosi in modo flessibile e dinamico ai diversi rischi che via via si affacciano sui mercati finanziari. La strategia, gestita dal team italiano capitanato da Andrea Delitala, è stata costruita su misura sulla base delle caratteristiche del risparmiatore italiano e, quindi, con un’allocazione tipo composta da un 70% di obbligazioni e un 30% di azioni, secondo il portafoglio tipico dell’investitore nostrano.
Nello scenario delineato, in cui le incertezze in cui ci ha proiettato la pandemia di Coronavirus restano elevate, ritroviamo dei punti fermi osservando i grandi fenomeni di cambiamento strutturale che impattano sulle nostre vite quotidiane (i cosiddetti Megatrend). Infatti, agendo in modo lento ma ineluttabile, questi modellano le nostre abitudini di vita e di consumo, determinando quali saranno le aziende vincitrici del domani, quelle in grado di cavalcare e determinare tali cambiamenti. Nei Megatrend ritroviamo, quindi, le certezze che ci sono venute a mancare nel contesto macroeconomico di breve. Anche perché molti di questi fenomeni di cambiamento hanno ricevuto una decisa accelerazione grazie alla crisi recente.
L’esplosione del mondo digitale, in cui siamo stati costretti a vivere per diverse settimane, ha portato a un’impennata nella crescita di alcuni settori che erano già in forte espansione prima che il Coronavirus facesse la sua apparizione nelle nostre vite: pensiamo, per esempio, all’e-commerce, ma anche alla telemedicina. A tal proposito, gli Stati Uniti hanno approvato di recente al Congresso una deroga alle restrizioni che impedivano l’accesso al Medicare a distanza e ciò è diventato possibile grazie al fatto che oggi visitare i pazienti in remoto è una necessità. Grazie a questa “deregolamentazione”, i privati che si sono affidati a visite mediche a distanza sono passati da 11mila a settimana a oltre 650mila a settimana (dato fornito dallo stesso Trump in conferenza stampa). Un altro settore dell’universo digitale che ha sperimentato una rapida diffusione è quello dei pagamenti digitali, capaci di soppiantare buona parte delle transazioni prima effettuate con il contante, che incideva sul 75% dei pagamenti effettuati in Europa prima del Coronavirus. Non sorprende, quindi, che un’azienda come Paypal abbia registrato quasi $200 miliardi di transazioni nel primo trimestre dell’anno e mediamente 250mila nuovi utenti ogni giorno del mese di aprile. E con il lancio prossimo di WhatsApp Pay, che consentirà agli utenti di trasferirsi denaro e pagare nei piccoli negozi usando direttamente l’app sul modello della cinese WeChat Pay, il segmento dei pagamenti digitali, più veloci ed economici potrebbe vivere una fase di ulteriore accelerazione.
Un’espansione del mondo digitale che richiede uno sviluppo di pari basso delle soluzioni di cybersecurity: più le attività si spostano online, più si espande la superficie attaccabile dai criminali cibernetici. Difatti, negli ultimi mesi il numero di attacchi, tentati e riusciti, è aumentato a dismisura. Basti pensare agli attacchi subiti dalle organizzazioni sanitarie nazionali e internazionali, già sotto forte stress per via dell’emergenza medica, o dalle aziende di servizi finanziari, cresciuti di oltre il 200% negli ultimi mesi. Per proteggersi molte aziende si sono trovate costrette ad investire nei sistemi di sicurezza. Addirittura, in pieno Coronavirus, quando da molte parti si tagliavano i budget di spesa, i CIO delle aziende più grandi a livello globale hanno ribadito che le uniche 3 voci di spesa che cresceranno nel 2020 saranno quelle del cloud, dei software per la collaborazione tra dipendenti e con clienti e la sicurezza informatica appunto.
Per concludere, la robotica, l’automazione industriale e le stampanti 3D diverranno centrali nelle nuove filiere produttive, più regionali e meno globali, che si stanno formando come reazione allo shock prodotto dalla pandemia, ma anche dalle precedenti tensioni commerciali sino-americane.
I Megatrend sono numerosi e variegati, in quanto sempre più complesse e articolate sono diventate le nostre vite quotidiane, ma presi tutti insieme ci forniscono le basi su cui costruire il nuovo mondo post-Coronavirus.
Commento a cura di Paolo Paschetta, Country Head Italia di Pictet Asset Management