Non appena le possibilità di una proroga dell’Articolo 50 si sono dissolte, la sterlina ha perso terreno.
Martedì 29 gennaio, il Parlamento ha votato contro la proposta di assumere il controllo delle procedure legate alla Brexit per almeno le prossime due settimane, respingendo gli emendamenti presentati da Yvette Cooper e Nick Boles.
Il Primo Ministro britannico Theresa May deve ora tornare a Bruxelles confidando nella fortuna, per rinegoziare il cosiddetto backstop irlandese. I mercati valutari hanno reagito negativamente, poiché la revisione dell’accordo, ad oggi, è considerata un compito impossibile. L’UE non sembra disposta a “riaprire il trattato” e il cosiddetto compromesso Malthouse (dal nome del deputato che lo ha proposto), che prevede un’unione doganale facilitata e soluzioni tecnologiche per evitare barriere di frontiera con l’Irlanda. Si tratterebbe in effetti di una mera ripetizione dei precedenti negoziati, rivelatisi infruttuosi.
Anche se l’eventualità di un “no deal” rimane improbabile, questi sviluppi aumentano il rischio di un’uscita imprevista dall’UE senza un accordo ed entrambe le parti potrebbero strutturarsi per gestire tale risultato.
L’emendamento Brady/May, apprezzato dal Parlamento, ha in qualche modo fornito all’UE un chiarimento molto atteso, ossia l’esistenza di una maggioranza nel parlamento britannico a favore di un negoziato che comprenda un’alternativa al backstop irlandese.
La palla passa così alla Corte Europea per ridisegnare un nuovo accordo, che garantisca il sostegno della Camera dei Comuni. Se, tuttavia, “nulla è cambiato” in due settimane e non si riuscirà a ratificare un nuovo accordo entro il 13 febbraio, i deputati avranno un’altra opportunità, il 14 febbraio: votare per ottenere il controllo del processo di uscita. Una proroga dell’Articolo 50, per avere il tempo di legiferare, sembra ora sempre più probabile.
A cura di Bethany Payne, Fund Manager, Global Bond Team, Janus Henderson Investors