La svolta da falco della Banca Centrale Europea la scorsa settimana, insieme al Comitato di Politica Monetaria
della Banca d’Inghilterra ad appena un voto dall’aumento dei tassi di 50 invece che di 25 punti base, ha reso
abbondantemente chiaro che le banche centrali globali, Federal Reserve degli Stati Uniti in testa, sono
determinate a reagire con forza di fronte all’inflazione che ha raggiunto i massimi pluridecennali.
Con il presidente della BCE Lagarde che non esclude più i rialzi dei tassi quest’anno e indica che le recenti sorprese al rialzo sull’inflazione hanno portato a una “preoccupazione unanime” all’interno del Consiglio direttivo, i mercati prezzano ora la fine degli acquisti netti di asset nel corso di quest’anno e 50 punti base di rialzi dei tassi entro la fine del 2022, implicando così un’uscita dalla politica dei tassi negativi.
Certamente, tale azione della BCE potrebbe essere giustificata come un’appropriata gestione del rischio per prevenire una potenziale spirale salari-prezzi, così come una risposta alla crescente impopolarità dei tassi di interesse negativi che le banche hanno sempre più trasferito sui correntisti. Tuttavia, gli episodi del 2008 e del 2011, quando la BCE ha dovuto invertire i rialzi dei tassi apparentemente appropriati in breve tempo a causa dei problemi di natura finanziaria, forniscono una narrativa di cautela e possono anche bloccare la mano a banchieri centrali sempre più nervosi alla BCE
Due argomentazioni possono essere avanzate a favore della riduzione dell’ammontare dell’accomodamento monetario nell’area dell’euro nelle circostanze attuali. La prima è la gestione del rischio di fronte a un tasso
d’inflazione nominale del 5,1% che supera le aspettative precedenti e molto al di sopra dell’obiettivo simmetrico del 2%. Anche se la BCE ha buone ragioni per aspettarsi che l’inflazione si moderi in gran parte da sola nel corso di quest’anno e del prossimo, queste aspettative potrebbero rivelarsi eccessivamente ottimistiche. Più a lungo l’inflazione rimane elevata, più grande è il rischio di una spirale salari-prezzi e di un aumento delle aspettative di inflazione oltre il target. Questo potrebbe poi richiedere una stretta più netta più avanti, che potrebbe innescare una recessione.
La seconda ragione è politica: i tassi d’interesse negativi sono estremamente impopolari, specialmente perché le banche hanno fatto grandi passi per trasferirli a un numero sempre maggiore di correntisti. Più a lungo durano i tassi negativi, più il sostegno del pubblico alla politica della BCE ne uscirà indebolito. Da questo punto di vista, alcuni funzionari della BCE potrebbero pensare che l’alta inflazione, anche se ritenuta di natura temporanea, fornisce una scusa perfetta per abbandonare uno strumento sempre più impopolare.
Tuttavia, prima che la BCE possa allontanarsi dai tassi negativi, dovrà superare un ostacolo autoimposto che ha eretto in passato. Come parte della sua forward guidance sulla sequenza di uscita, il Consiglio direttivo ha dichiarato (e ripetuto giovedì scorso) che dovrà prima terminare gli acquisti netti di asset prima di iniziare ad alzare i tassi di interesse di riferimento della BCE. Questa indicazione si applica a entrambi i programmi di acquisto che sono attualmente ancora attivi – il programma di acquisto di emergenza pandemica (PEPP), che dovrebbe interrompere gli acquisti netti alla fine di marzo 2022, e il programma di acquisto di asset (APP). Per quest’ultimo, l’attuale guidance che la BCE ha riconfermato giovedì scorso prevede acquisti netti per 40 miliardi di euro nel secondo trimestre del 2022 e 30 miliardi di euro nel terzo, seguiti da 20 miliardi di euro in seguito “finché sarà necessario”. Quindi, se la BCE volesse aumentare i tassi prima del 4° trimestre 2022, dovrebbe prima cambiare la sua guidance sugli acquisti e annunciare una fine anticipata dell’APP. Naturalmente, questo
potrebbe essere fatto già a marzo per ottenere una maggiore possibilità di scelta sui tassi di interesse tuttavia, cambiare la forward guidance ha sempre un costo: tali indicazioni future saranno considerate poi meno credibili.
Per inciso, la forward guidance delle banche centrali sui tassi e/o sugli acquisti di asset potrebbe aver esaurito la propria utilità in un ambiente macro in costante evoluzione. Come abbiamo sostenuto nel nostro Secular Outlook L’epoca della trasformazione, i cicli economici nei prossimi anni saranno probabilmente più brevi nella durata e più grandi nell’ampiezza, con la crescita economica e l’inflazione che diventeranno più volatili. Un tale ambiente richiederebbe probabilmente cambiamenti di politica monetaria più frequenti e più pronunciati e persino inversioni di tendenza in reazione a condizioni cicliche in rapido cambiamento. In un tale ambiente, legarsi le mani attraverso la forward guidance, anche se solo condizionatamente, potrebbe diventare un ostacolo piuttosto che un aiuto per politiche monetarie efficaci.
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I rischi supererebbero i benefici
Tornando alla BCE, anche se gli argomenti di cui sopra per un cambiamento nella posizione di politica monetaria – la gestione del rischio e la politica dei tassi di interesse negativi – non dovrebbero essere liquidati facilmente, crediamo che i rischi di una stretta prematura supererebbero i benefici, per tre ragioni.
Una politica rischiosa
In primo luogo, non siamo convinti che l’irrigidimento in un enorme shock di offerta causato dal Covid-19 e dall’aumento dei prezzi del petrolio sia una politica sensata. La domanda nell’area dell’euro è molto meno vivace che negli Stati Uniti, poiché la politica fiscale è stata meno espansiva e le restrizioni legate alla pandemia sono state più severe. Inoltre, la crescita nominale dei salari è rimasta finora molto contenuta, il che, insieme all’alta inflazione corrente, implica una riduzione significativa del reddito reale disponibile delle famiglie. Un inasprimento della politica monetaria aggiungerebbe la beffa al danno.
Contro l’obiettivo
In secondo luogo, un inasprimento della politica monetaria contraddirebbe l’obiettivo dichiarato della BCE di riaffermare le aspettative di inflazione a lungo termine intorno all’obiettivo di inflazione simmetrica del 2%. Infatti, i tassi d’inflazione di pareggio a cinque anni, che nonostante l’aumento nell’ultimo anno erano ancora al di sotto dell’obiettivo, sono scesi in picchiata in risposta alla svolta hawkish nella riunione del Consiglio di giovedì scorso.
Aumento dei rischi finanziari
In terzo luogo, l’uscita dagli acquisti netti di attività e l’aumento dei tassi di interesse aumenta il rischio di incidenti finanziari, soprattutto perché i livelli di debito sono aumentati durante la pandemia e perché molte altre banche centrali stanno inasprendo la politica nello stesso momento. Dato il suo peculiare assetto istituzionale “una moneta, molte nazioni”, l’area dell’euro rimane soggetta al rischio di frammentazione finanziaria tra i suoi numerosi mercati di obbligazioni sovrane e i sistemi bancari nazionali. Mentre alcuni di questi rischi potrebbero essere mitigati con l’aiuto di una strategia di reinvestimento flessibile (che continua ad essere possibile sotto l’ombrello del PEPP) e attraverso operazioni di prestito mirate per le banche, il rischio di corse auto-avveranti su sovrani e banche rimane reale, specialmente se la BCE si sposta a combattere un problema di inflazione reale o percepito.
Dati questi rischi, e memori degli episodi del 2008 e del 2011 di inasprimento intempestivo della BCE, è ancora probabile che alla BCE prevalgano il sangue freddo e la mano ferma. Tuttavia, il rischio di un altro errore politico è chiaramente aumentato – un punto di vista che molti attori di mercato sembrano condividere data l’inversione della curva dei rendimenti da 10 a 30 anni e il crollo dei tassi di inflazione di pareggio a lungo termine. Una ragione in più per prepararsi a un ambiente macro più incerto, irregolare e volatile nel 2022 e oltre!
A cura di Joachim Fels, Global Economic Advisor di PIMCO