Ieri la Banca Centrale Statunitense, FED, ha annunciato l’aumento dei tassi per 25 bps, primo rialzo dal 2018.
A sorprendere i mercati non è stato tuttavia questo rialzo ampiamente atteso, ma la revisione per il 2022 sia delle stime di crescita economica – che oggi la FED si attende al 2,8% a fine anno rispetto al precedente 4% – sia di inflazione, attesa al 4,3% (core PCE, Indice dei prezzi per la Spesa per i consumi personali, al 4,1%). E sono proprio questi, a nostro avviso, i numeri che hanno generato un impatto sui mercati: l’indice azionario S&P ha subito reagito al ribasso, cedendo all’annuncio tutti i guadagni di giornata, mentre sul fronte obbligazionario abbiamo assistito all’aumento improvviso di 20 bps dei tassi dei treasury statunitensi a breve scadenza; i tassi a lungo termine invece, dopo un’iniziale reazione al rialzo, sono velocemente rientrati al livello pre-annuncio. Non solo: lo spread tra i tresury a 5 e quelli a 10 anni si è appiattita (ovvero, i rendimenti a 5 anni hanno eguagliato quelli a 10) diventando a tratti persino negativa per poi assestarsi in chiusura a 2 bps, mentre solo 2 settimane fa erano pari a 15 bps.
Quale significato dietro l’appiattimento di questa curva?
Riteniamo che il mercato abbia prezzato da un lato l’aumento della probabilità di una recessione – determinata dalla combinazione di inflazione crescente e rallentamento dell’economia- dall’altro l’attesa di un maggior numero di aumento dei tassi in un periodo più breve del previsto, ovvero di 7 rialzi nel 2022, uno per ciascuna riunione della FED, e altri 4 o 5 nel 2023. La Fed non ha escluso la possibilità di dover aumentare i tassi anche di 50 bps in un solo meeting per raggiungere il suo obiettivo di inflazione al 2% nel lungo termine.
In sintesi, il mercato avrebbe riprezzato al rialzo la probabilità di un “policy mistake” della FED: dando priorità agli obiettivi di inflazione, la Banca Centrale statunitense potrebbe aumentare troppo in fretta i tassi, rialzi che avrebbero impatto negativo sulla crescita economica che, in un contesto inflattivo, si tradurrebbe in recessione. In altre parole, la FED ieri ci ha segnalato una minor propensione a restare “dietro la curva” per permettere al mercato del lavoro di ripartire con forza dopo la pandemia come era successo nella seconda metà del 2021.
I prossimi mesi saranno decisivi per capire se la FED ha intrapreso la strada giusta o se, come teme il mercato, di fronte al rallentamento dell’economia dovrà fare marcia indietro ritoccando al ribasso i tassi, come già nel 2019. Ma è ancora troppo presto per fare previsioni.
Di Giancarlo Bilotta, Portfolio Manager Credit Strategies Plenisfer Investments SGR