Attenzione alle aspettative “schizofreniche” dei mercati

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I mercati hanno registrato un’ottima performance da inizio anno, tuttavia, il driver principale delle evoluzioni di mercato restano sempre le politiche delle banche centrali

Le evoluzioni dei mercati vengono influenzate dalle politiche delle banche centrali, sia che si tratti del quantitative easing (QE) ‘nascosto’ della Fed, che sta iniettando $60-70 miliardi al mese di liquidità attraverso il mercato repo, o di quello più ‘trasparente’ ripreso di recente dalla BCE.

A nostro avviso esistono due scenari possibili che vanno analizzati:
Un primo scenario, meno analizzato dal mercato, è quello in cui le banche centrali, dopo 10 anni di tentativi senza successo, riescono finalmente a far ripartire l’inflazione. Virtualmente, ciò potrebbe concretizzarsi se vi fosse un upgrade delle politiche delle banche centrali stesse: ad esempio, con l’arrivo di Christine Lagarde, la BCE potrebbe adottare un approccio più aggressivo, iniziando ad investire direttamente in azioni o in direct lending. Oppure le autorità fiscali potrebbero trovare un accordo con quelle monetarie e iniziare a spendere in modo significativo – in effetti, vi è una notevole spinta politica in questa direzione, in particolare negli Stati Uniti, sia che vinca Trump sia in caso di vittoria democratica. Storicamente le banche centrali sono riuscite a vincere una sola battaglia: quella di creare inflazione, mai quella di creare crescita o di creare un’allocazione efficiente delle risorse.

Nello scenario base del mercato invece viviamo in un contesto di deflazione strutturale derivante dalle innovazioni tecnologiche che mantengono i salari bassi, con le banche centrali che persisteranno nel QE, pur non ottenendo il risultato sperato, senza che si concretizzino mai ‘side effect’.

L’analisi di questi scenari consente di rendersi conto della ‘schizofrenia’ dei mercati e di quanto siano irrealistiche le loro aspettative al momento. Da un lato, si è convinti che le banche centrali continueranno inesorabilmente con il QE nella sua forma attuale, pur non riuscendo ad ottenere la creazione di inflazione, e dall’altro ci si aspetta anche che le autorità fiscali rimangano assolutamente statiche.

In quest’ottica la situazione del reddito fisso appare quindi molto asimmetrica. I prezzi dei bond riflettono uno scenario in cui tutto andrà alla perfezione, di conseguenza il potenziale upside è estremamente ridotto e decisamente sbilanciato rispetto al potenziale downside.

Noi, al contrario, pensiamo che vi siano forti danni collaterali e cerchiamo di focalizzarci su questi a livello idiosincratico.

I danni collaterali del quantitative easing
Comunque vadano le cose, le prolungate politiche di QE messe in atto dalle banche centrali hanno già generato numerosi ‘side effect’.

Un primo effetto dei tassi a zero per tempo prolungato è che il present value oggi è uguale al future value, o in casi estremi è addirittura invertito, come per il bund. Quindi, essendo il present value di un euro oggi uguale a quello tra dieci anni, avviene che i business plan di qualsiasi azienda, anche i più aggressivi, vengono finanziati senza limiti. Piccole o grandi che siano, le aziende hanno fonti di finanziamento illimitate tramite venture capitalist, private equity etc. Ciò ha consentito alle start-up e ai giganti tecnologici come Google o Amazon di sviluppare tecnologie altamente disruptive, in grado di mettere in crisi interi settori, spesso già molto indebitati. È l’effetto che definiamo ‘inverno tecnologico’. Gli investitori devono quindi cercare di individuare i settori più in difficoltà per proteggersi e cogliere le opportunità più interessanti. Un modo efficace è osservare dove si concentrano le attività di M&A. Ad esempio, la fusione recentemente annunciata di FCA con Peugeot, meno efficace di quella con Renault, evidenzia quanto le aziende del settore automobilistico abbiano un bisogno disperato di sinergie per risparmiare sui costi. Altri settori da tenere d’occhio sono healthcare, media, telecom e financial (quest’ultimo in particolare in Europa, UK e Asia). Questo è il nostro focus nell’ambito corporate, con un’ottica corta su singoli nomi nei settori e nelle situazioni con maggiore indebitamento, coperti per limitare il negative carry, accompagnato da un continuo lavoro su M&A, anche come fonte di informazioni.

Un secondo danno collaterale del QE è la notevole inflazione degli asset – vale a dire, esplosione delle valutazioni – a cui non è però corrisposta un’adeguata inflazione dei salari. Questa dinamica è alla radice di molti dei movimenti populisti che sono emersi in tutto il mondo e ha avuto un’influenza anche sulle recenti proteste di Hong Kong, il punto più delicato nel quadro geopolitico attuale. Occorre dunque essere molto cauti, dato che le valutazioni sono elevate e la vulnerabilità politica è sui massimi.

Il terzo effetto del QE è il suo impatto negativo sulla volatilità, che ha favorito gli stili di investimento passivi rispetto a quelli attivi. Ciò ha reso il mercato ancora più discontinuo: nei piccoli movimenti la volatilità è minima, ma quando vi è un movimento forte, come quello generato dalle dichiarazioni del Presidente della Fed, Powell, alla fine del 2018, il mercato può ribaltarsi in modo drastico e improvviso. Per questo è importante tenere sempre sotto controllo la liquidità del proprio portafoglio.

Il mercato è un gigante WeWork
In conclusione, il mercato sembra riprodurre in grande la situazione di WeWork, la start-up ‘unicorno’ che gestisce spazi di coworking e che ha tentato senza successo di quotarsi in borsa lo scorso settembre: si è passati nel giro di poche settimane da un framework di valutazione da IPO, in cui ci si chiedeva se la società valesse 50 o 70 miliardi di dollari, ad uno di crisi, in cui ci si chiede se ci sia la liquidità necessaria per arrivare a fine mese. Questo esempio mette in luce come i modelli di valutazione possano cambiare in modo rapido e drastico, con conseguenze anche molto pesanti per gli investitori. Una dinamica simile si inizia a vedere spesso anche sul mercato del credito. Ovviamente ciò non significa che bisogna assumere posizioni corte verso tutto il mercato, ma che occorre essere molto selettivi e individuare i singoli titoli che offrono le opportunità migliori sia dal lato corto che da quello lungo – in particolare nelle situazioni ‘stressed’.

Commento a cura di Filippo Lanza, gestore del fondo HI Numen Credit Fund, Hedge Invest Sgr

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