Le disperate manovre della Banca Centrale dell’Argentina hanno portato implicazioni sia per l’inflazione che per il rapporto debito/Pil del paese
L’inaspettato risultato delle “PASO” – primarie simultanee obbligatorie – in Argentina a metà agosto, che ha dato al candidato dell’opposizione Alberto Fernández un vantaggio di 15 punti rispetto all’attuale Presidente Mauricio Macri, ha portato al crollo della valuta e alla crisi di liquidità nel Paese.
La fuga degli investitori offshore, ma soprattutto di quelli locali, ha forzato la Banca Centrale dell’Argentina a bruciare 13 miliardi di dollari di riserve di valuta estera per evitare che il peso crollasse fino ad essere fuori controllo, con implicazioni non solo per l’inflazione ma anche per il rapporto debito/Pil dell’Argentina.
Resta da capire ciò che potrebbe succedere alla continuità in termini di politiche e alla volontà del Paese di ripagare il debito quando l’opposizione, che sembra ben posizionata per vincere il primo round di elezioni ad ottobre, andrà al potere.
Il brusco ma necessario aggiustamento del deficit fiscale e di quello delle partite correnti, portato avanti dall’amministrazione Macri nel corso dell’ultimo anno di mandato si è dimostrato essere troppo gravoso per gli argentini. La popolazione ha infatti spostato il sostegno verso il candidato moderato Peronista Fernández, le cui promesse elettorali al momento mirano a un target più ampio di deficit fiscale e alla ristrutturazione del debito estero.
Il trauma dei diversi default che l’Argentina ha affrontato in passato è ancora ben presente nella mente della popolazione. La possibilità che si giunga ad un’altra situazione simile ha spinto a ritirare rapidamente i depositi. Questo panico ha reso il meccanismo di trasmissione della politica monetaria totalmente inefficace, come abbiamo visto l’anno scorso, e ha pesato sulla valuta. Tuttavia, più debole è la valuta, più elevato è il rapporto debito/Pil del Paese che, a sua volta, ostacola la ripresa nel valore dei suoi bond denominati in dollari.
Dato che le riserve di valuta estera sono limitate, e in rapida diminuzione, per ripagare il debito, il Governo ha dovuto ricorrere all’ultima arma a sua disposizione per contenere le riserve e la valuta, che altrimenti avrebbe raggiunto livelli impensabili, a danno della stabilità macroeconomica. Pur non rappresentando la misura ideale, dato che creano altre distorsioni nell’economia, i controlli sui capitali aiutano se non altro a mantenere il Paese a galla, mentre si prepara alla transizione verso la nuova amministrazione. Alla luce di ciò, tali misure sono benvenute, finché restano targettizzate e temporanee. Questa strategia dovrebbe anche innescare una discussione più ordinata sul tema della ristrutturazione del debito estero con i detentori dei bond e il FMI, che dovrebbe essere più incline a erogare la prossima tranche nel corso delle settimane a venire, su garanzia che tali finanziamenti non verranno utilizzati per facilitare fughe di capitale.
In termini di outlook per l’Argentina sul lungo periodo, sembra che tutto dipenderà da quale direzione vorrà intraprendere la prossima amministrazione.
Commento a cura di Delphine Arrighi, gestore del fondo Merian Emerging Market Debt, Merian Global Investors