Allentamento dei lockdown, quali implicazioni per i mercati?

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Le misure di lockdown si sono rivelate efficaci nel ridurre il tasso di contagio, ma i costi economici delle misure stanno diventando sempre più evidenti

Le misure di lockdown si sono rivelate efficaci nel ridurre il tasso di contagio del coronavirus, portandolo ad un livello inferiore a uno. Tuttavia, i costi economici delle misure di chiusura stanno diventando sempre più evidenti: in India per esempio, secondo dati recenti, le chiusure hanno portato alla perdita di 120 milioni di posti di lavoro, mentre negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione è salito al 15%. È sempre più chiaro che più a lungo dureranno le misure restrittive, maggiore sarà il numero di posti di lavoro persi in modo definitivo.

I governi hanno iniziato in queste settimane ad allentare le misure di lockdown, ma se questo processo sarà troppo veloce, il tasso di riproduzione del virus potrebbe tornare a salire sopra il livello soglia pari a uno, innescando una nuova ondata di contagi e conseguenti restrizioni, che potrebbero essere ancora più dannose per l’economia. Un elemento da evidenziare è il fatto che in Europa e negli Stati Uniti, l’allentamento dei lockdown sta avvenendo in una fase precedente rispetto alla Cina o ad altri Paesi asiatici. Il caso della Corea del Sud per esempio, che pur essendo uno dei Paesi che sono riusciti a contenere il virus con maggiore successo ha visto una seconda ondata di casi, dovrebbe essere guardato come esempio del potenziale rischio legato a tale evenienza.

Sono lievemente preoccupato del fatto che i mercati siano al momento troppo ottimistici. Sembra che si stiano concentrando infatti soltanto sulla velocità con cui l’economia tornerà alla normalità, tralasciando però il rischio di una seconda ondata di contagi. Se guardiamo agli indici benchmark, gran parte dei risvolti positivi legati al contenimento del virus e all’allentamento delle misure di lockdown sono già prezzati. Ritengo che in questa fase sia sensato muoversi con una certa cautela sui mercati.

Nell’ultimo periodo abbiamo visto un’impennata nel numero di emissioni di bond corporate, soprattutto per quanto riguarda il mercato investment grade negli Stati Uniti, dove le emissioni sono raddoppiate rispetto all’anno scorso, mentre in Europa sono aumentate del 60% circa. La Fed sta per avviare il ciclo di acquisti di bond corporate IG negli Usa, mentre la BCE sta già comprando una media di 15-20 miliardi di euro di bond al mese. Questi programmi, combinati con le valutazioni interessanti offerte da questo segmento, hanno fatto sì che l’impennata dell’offerta sia stata assorbita in modo abbastanza ordinato dai mercati.

Ritengo che l’offerta resterà elevata anche nel prossimo futuro – seppure non a livelli così elevati come nelle ultime settimane – dato che il driver principale di tale aumento è il collasso dei flussi di cassa e degli utili, che le società stanno affrontando a causa del virus e dei lockdown. Ciò implica che il livello di indebitamento delle aziende aumenterà notevolmente, il che sul medio termine potrebbe pesare sulla ripresa economica, con i management delle società che si focalizzeranno sul risanamento dei bilanci, con una potenziale riduzione delle spese in conto capitale e delle nuove assunzioni. Nonostante ciò, mi aspetto che i costi di servizio del debito resteranno bassi, dato che le banche centrali manterranno i tassi molto bassi molto a lungo.

I maggiori livelli di leva faranno sì che i downgrade da parte delle società di rating continueranno ad essere numerosi, ma nonostante ciò il rischio di default nel segmento investment grade resterà molto basso, rendendo questa asset class molto attraente per gli investitori.

Lo stesso non varrà per i mercati high yield, che generalmente durante le fasi di rallentamento vedono un crollo nel numero di nuove emissioni, come abbiamo visto ad esempio in Europa. In generale, con rendimenti del 7-8% maggiori su un orizzonte temporale di 2-3 anni, il segmento high yield è molto interessante, anche se a differenza dell’IG, qui il rischio di default resta elevato.

Sul fronte delle politiche monetarie, al momento, sembrerebbe che molti investitori ritengano probabile che la Fed seguirà l’esempio di BCE e Bank of Japan, rendendo negativi i tassi overnight, come dimostrato dai future sui tassi di interesse negli Usa – anche se la Fed ha ufficialmente smentito tale sviluppo. Anche io sono abbastanza scettico sulla possibilità che la Banca Centrale Usa decida di adottare tassi negativi, dato che le esperienze di Giappone ed Europa hanno avuto risultati contrastanti. Tra i motivi per cui i mercati ritengono che sia probabile una decisione su questa linea c’è il fatto che le banche statunitensi si stanno muovendo per proteggersi da tale eventualità, dato che tendenzialmente i tassi negativi non sono positivi per il settore bancario.

A mio avviso, è più probabile che la Fed decida di aumentare il quantitative easing, o di fissare dei target sul rendimento dei Treasury, sulla falsariga del controllo sulla curva dei rendimenti della Bank of Japan.

Commento a cura di David Riley, Chief Investment Strategist, BlueBay Asset Management

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