Ci sono segnali che il dollaro possa aver raggiunto il picco nel primo trimestre e che abbia iniziato di recente a indebolirsi
Nel corso degli ultimi anni, caratterizzati da eventi sismici come Brexit e la pandemia di coronavirus, il dollaro ha rappresentato un solido pilastro dimostrando maggiore resilienza rispetto alle altre principali valute e fornendo stabilità agli investitori. Tuttavia, ci sono segnali che il dollaro possa aver raggiunto il picco nel primo trimestre e che abbia iniziato di recente a indebolirsi.
L’inizio della fine – segnali di valutazioni eccessive
La corsa del dollaro è iniziata nel 2011 con la fine del QE della Fed, ma con la crisi del coronavirus sembra che il biglietto verde abbia raggiunto il picco e stia per invertire la tendenza. Già a fine 2019 i nostri analisti avevano notato che la moneta Usa era sopravvalutata dell’8% circa rispetto ad altre 26 valute, emergenti e sviluppate. Gli eventi di quest’anno hanno aumentato ulteriormente il valore del dollaro, dato che viene percepito come un bene rifugio. Tuttavia, dopo l’impennata di marzo, la valuta è crollata e quattro fattori chiave mostrano che potrebbe affrontare un periodo prolungato di deprezzamento:
1. L’inizio di un nuovo ciclo potrebbe portare a un’inversione di tendenza
I rally del dollaro in passato sono tendenzialmente durati diversi anni prima di invertirsi. Il più significativo tra questi ebbe luogo nei primi anni ’80, quando la Fed alzò i tassi di interesse al 20% per contrastare la “stagflazione”: tra il minimo dell’ottobre 1978 e marzo 1985 il DXY crebbe del 52%.
Dopo essersi ricalibrato tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, il dollaro ha visto una nuova impennata verso la fine del millennio, grazie all’interesse generato dalle aziende tech Usa. Con la fine di questo trend la Fed tagliò i tassi portandoli all’1% e il dollaro rallentò. Alla luce di tutto ciò, vale la pena notare che prima della pandemia la forza del dollaro coincideva con livelli record toccati dagli indici azionari Usa, come il Nasdaq.
2. La ripresa negli Usa sembra incerta
Anche un potenziale rimbalzo della crescita globale nella seconda metà dell’anno potrebbe indebolire il dollaro. Essendo la principale valuta mondiale, il suo andamento è influenzato dal sentiment globale.
A prima vista i dati economici e sul sentiment sembrano essere negativi. Tuttavia, nonostante i minimi di aprile, è probabile che alcuni Paesi abbiano superato il peggio: i primi a imporre i lockdown in Asia ed Europa hanno riaperto e nel Vecchio Continente gli stimoli adottati dovrebbero essere positivi per l’euro.
Le riaperture sono iniziate anche negli Usa, ma il percorso verso la normalizzazione della crescita suscita preoccupazione, con il numero di casi che resta elevato e un rischio reale di una seconda ondata. Anche il sentiment segnala una certa mancanza di ottimismo per una rapida ripresa. Ciò non significa che gli Usa siano destinati a essere in ritardo rispetto al resto del mondo, ma rende molto probabile che l’era dell’“eccezionalismo” statunitense degli ultimi anni sia vicino alla fine, minacciando il podio del dollaro.
3. Niente più differenziale tra i tassi di interesse
Il venir meno di una dei motivi più attraenti per posizionarsi sul dollaro, ossia il tasso di interesse più elevato rispetto ai competitor, potrebbe contribuire alla caduta del dollaro. Nel 2017 e nel 2018 la Fed ha alzato i tassi sette volte, mentre le altre banche centrali continuavano con l’easing, contribuendo al rally del dollaro.
Nel 2019 la Fed ha iniziato a cambiare rotta, e nel 2020 con il Covid-19 i tassi Usa sono tornati su livelli molto simili agli altri Paesi sviluppati, come Eurozona e Giappone. La scomparsa del differenziale rispetto agli altri tassi di interesse rende il dollaro molto meno attraente.
4. Il dollaro pesa sempre meno nelle riserve globali
Anche cambiamento nella composizione delle riserve di valute estere delle banche centrali potrebbe indicare che il dollaro si trova su una strada in discesa. Diversi istituti, come la Banca Centrale Russa hanno tentato di ridurre le transazioni in dollari, mentre banchieri centrali come Mark Carney, fino a marzo governatore della Bank of England, hanno affermato che il ruolo del dollaro nel sistema finanziario globale dovrebbe essere ridotto.
Secondo i dati del FMI, il biglietto verde rappresentava circa il 57% delle riserve delle banche centrali a fine 2019, tuttavia nel corso dell’anno, la quantità di dollari presente nelle riserve è diminuito.
Anche il contesto politico mette in difficoltà la valuta. Viste le critiche da parte dei governi globali durante la crisi, il risultato delle elezioni presidenziali negli Usa è ancora più incerto. Se il candidato democratico Joe Biden dovesse vincere, o semplicemente se tale scenario sembrerà più probabile all’avvicinarci alle elezioni, il dollaro potrebbe indebolirsi, con l’aspettativa che le politiche protezionistiche di Donald Trump verranno meno.
Perché potrebbe non essere il momento giusto per cambiare allocazione
Nonostante questi fattori, non c’è garanzia del fatto che il dollaro rallenterà. La valuta mantiene alcune caratteristiche di bene rifugio, molto apprezzate in fasi di incertezza. Se la pandemia dovesse persistere dopo l’estate, ci aspettiamo che gli investitori torneranno a favorire il dollaro. È possibile inoltre che il calo nella domanda per il biglietto verde potrebbe essere ribilanciato dall’aumento nella domanda di Treasury Usa o altri asset finanziari a basso rischio denominati in dollari. Inoltre, il perdurare delle tensioni con la Cina potrebbe portare a un maggiore protezionismo nel prossimo futuro, sostenendo il dollaro, mentre la storia ci insegna che la ripresa in Europa e Giappone non è scontata.
Tuttavia, dopo quasi 10 anni di rally per il dollaro, e con segnali di ritorno a una crescita globale dopo la crisi, gli investitori dovrebbero valutare se abbandonare gli asset denominati in dollari potrebbe essere una mossa conveniente all’avvio del secondo semestre.
Commento a cura di Ken Orchard, gestore del fondo T. Rowe Price Funds SICAV – Diversified Income Bond, T. Rowe Price