Come l’open banking sta cambiando le regole del gioco

open banking

La direttiva sui pagamenti apre alla condivisione dei dati finanziari e dei conti correnti (previa autorizzazione dei titolari). E potrebbe travolgere gli operatori storici, favorendo l’ingresso di nuovi concorrenti

Articolo tratto dal numero di maggio/giugno 2019 di Asset Management.

Nel gennaio 2018 è stata emanata la Psd2 (Payment services directive Apiufintech), direttiva europea sui pagamenti digitali. Che sancisce un principio rivoluzionario, ovvero che i dati sui conti correnti sono del cliente e non più dell’intermediario. Perquesto la direttiva obbliga le banche europee ad aprire le proprie Api (Application program interface) alle società (del fintech e non) autorizzate dal titolare dei dati.

L’impatto della nuova normativa è di grande portata, consentirà a terze parti di accedere ai dati di pagamento aprendo di fatto il mercato a una maggiore competizione nelle aree di tradizionale dominio delle banche. Psd2 cambia nella sostanza la relazione tra consumatori e istituti finanziari rimettendo il cliente al centro e consentendogli di scegliere i servizi che ritiene migliori per le proprie esigenze. Un altro elemento di cambiamento forte risiede nel fatto che gli incumbent sono per la prima volta costretti a competere in un ambito che storicamente è stato sempre fortemente regolato e poco incline a logiche competitive. La Psd2 è apparsa subito come un fenomeno in grado di ridisegnare in primo luogo lo scenario e il mercato europeo dei pagamenti, ma anche di tracciare una linea di rottura con il passato, favorendo lo sviluppo di un nuovo panorama competitivo con nuove regole del gioco che permettono a nuovi attori di parteciparvi. In tale rottura/evoluzione promossa dalla Psd2 vi sono anche le premesse di un nuovo modo di fare banca, più aperto, più accessibile, più facile, tanto per i clienti quanto per le imprese, chiamato open banking. L’open banking è quindi un abilitatore per una maggiore concorrenza, innovazione e centralità del cliente che va a braccetto con i più ampi cambiamenti sociali verso la trasparenza, standard di dati e la condivisione.

L’open banking livella il campo di gioco tra tradizionali fornitori di servizi finanziari incumbent e nuovi “disruptor”. Gli operatori storici corono il rischio di rimanere indietro rispetto ai più tecnologici peer abilitati e nuovi mercati concorrenti, come le fintech, poiché sono sfidati dal potenziale ingresso in servizi finanziari da parte di player di spicco in altri settori, in particolare i giganti della tecnologia (Google, Amazon, Facebook, Apple) che hanno interesse a innovare in nuove aree come quella dei pagamenti. Esempi di utilizzo dei dati Api aperti includono aggregazione di conti, migliore gestione finanziaria, credit scoring, prestiti integrati e piattaforme contabili per le Pmi. Come reagiranno gli incumbent a questa rivoluzione? Questa è la domanda a cui occorre rispondere, di sicuro urge sviluppare una strategia che consenta da un lato un radicale cambio culturale dentro le banche per poter affrontare la sfida, dall’altro occorre accelerare nel processo di It transformation che è l’abilitatore a qualunque strategia futura di modello di servizio.

A oggi possiamo intravedere:
Full services provider: offerta completa di servizi e prodotti proprietari tramite una rete di distribuzione controllata, con integrazione minima o nulla con terze parti tramite Api;
Partnership model: questo modello prevede la selezione di partner per l’erogazione di specifici servizi che vengono integrati nella value proposition e distribuiti ai clienti. I partner vengono attentamente selezionati in quanto il distributore ne è responsabile e a volte operano in esclusiva;
Market place model: in questo contest il distributore diventa un hub, ovvero un vero e proprio mercato di servizi cui i clienti possono accedere e scegliere liberamente nell’ottica del multi provider.

Indipendentemente dal posizionamento, per avere successo in un ambiente di open banking vi sono alcune caratteristiche comuni che includono: un modello operativo customer centric, forte utilizzo e analisi dei dati, infrastrutture tecnologiche moderne e cultura orientata alla costante innovazione.

Ma nella sostanza che benefici avrà il cliente dall’open banking? Cambia radicalmente il modo in cui siamo abituati a percepire la banca, sempre meno “istituzione” e più piattaforma tecnologica che eroga servizi di varia natura. Il cliente avrà accesso da un unico punto a tutti i conti (aggregazione) eventualmente detenuti e potrà disporre pagamenti tra i propri conti e verso quelli esterni. Tutti i pagamenti saranno classificati in varie voci per consentire una dettagliata analisi delle entrate e uscite complessive ed eventualmente pianificare il risparmio in modo “scientifico”. Molti servizi saranno agganciati alle differenti voci di spesa per consentire al cliente di poter scegliere tra varie alternative: il pagamento della bolletta elettrica consentirà di accedere alla valutazione di alternative più convenienti. La conoscenza del “bilancio” del cliente consentirà, attraverso l’utilizzo dei big data analytic di sapere in modo dettagliato i comportamenti e il potenziale reddituale, permettendo l’erogazione di servizi moderni di erogazione del credito (instant lending) o di coperture assicurative (instant insurance). Anche servizi oggi lontani dalle tipiche logiche bancarie saranno disponibili sulle piattaforme, pensiamo ai viaggi con pacchetti integrati di finanziamento e assicurazione.

Un capitolo a parte merita il tema degli investimenti, che avranno un nuovo impulso dall’open banking. Già da qualche anno esistono moderne e innovative fintech che offrono un servizio di investimento per il cliente finale ma per varie ragioni (principalmente di ordine culturale) non hanno avuto una grande espansione; secondo l’ultima ricerca Pwc i robo-advisor gestiscono in Europa lo 0,14% delle masse e in Italia solo lo 0,06%. Negli Usa un poco entusiasmante 2%. Grazie all’open banking ci sarà un forte impulso al robo-advisor, ma nell’ambito delle piattaforme bancarie che non hanno il problema della “fiducia” degli operatori del fintech. Inoltre la possibilità di razionalizzare i risparmi trasferendoli su un’unica banca che sarà quella demandata agli investimenti, favorirà il processo di adozione. E c’è già chi, Deus Technology per esempio, sta lavorando in Italia a un progetto di open banking che consentirà alle banche di erogare un servizio di advisory (o di gestioni) in modalità digitale e moderna. È oramai un trend chiaro al quale aderiranno tutti gli istituti nei prossimi anni e i clienti dovranno abituarsi ad avere un consulente anche virtuale con i relativi vantaggi in termini di costi, trasparenza ed anche efficienza. Questo non vuol dire che le persone spariranno dal processo, ma interagiranno con la tecnologia supportando in modalità nuove il cliente lungo il processo di investimento. Molti altri servizi nasceranno sulle piattaforme di open banking e si assisterà a una forte commistione tra incumbent e realtà del fintech e non; nasceranno nuovi attori in questo mercato e alcuni incumbent spariranno perché saranno costretti ad aggregarsi per raggiungere le economie di scala che il business del banking oramai richiede. Cambierà lo skyline del settore, ma a beneficio del cliente e dell’innovazione dei modelli di servizio.

A cura di Pasquale Orlando

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