Sebbene le prospettive per la crescita globale stiano diventando più incerte a causa degli attriti commerciali sino-americani e della forza gravitazionale esercitata dal rialzo dei tassi d’interesse, riteniamo che il continuo programma di riforme del Giappone finirà probabilmente per innalzare il tasso di crescita di lungo termine.
Il Giappone sta introducendo tre corpus di riforme concepite per risolvere le debolezze strutturali e quelle attinenti al governo societario. Si tratta di:
– Riforma dell’immigrazione
– Riforma dello stile di lavoro
– Riforma della corporate governance
IL PIL verso l’obiettivo di JPY 600.000 miliardi
Per contestualizzare, riepiloghiamo brevemente la storia economica e i successi recenti del Giappone. Possiamo suddividere gli ultimi 40 anni in tre periodi: la straordinaria crescita degli anni ‘80, l’opprimente deflazione degli anni ‘90 e il periodo da fine 2012 ad oggi, caratterizzato dalle riforme strutturali della “Abenomics”. Dopo la lunga fase di deflazione seguita alla rapida crescita degli anni ‘80, molte società giapponesi si sono ripiegate su sé stesse. Piuttosto che investire nella crescita futura per generare rendimenti superiori, hanno fatto di tutto per proteggere le prerogative acquisite, prestando scarsa attenzione all’efficienza dell’allocazione del capitale.
Tuttavia, dopo i 15 anni di crescita zero dal 1998 al 2013, le riforme del Presidente Shinzō Abe stanno finalmente dando i loro frutti e il PIL si sta avvicinando all’obiettivo del governo di JPY 600.000 miliardi. Le pressioni inflazionistiche non sono state abbastanza forti da oltrepassare il target del 2% della Bank of Japan (BoJ), ma gli indicatori economici suggeriscono chiaramente che la deflazione è stata sconfitta. Pur non escludendo la possibilità che la BoJ modifichi la sua politica monetaria per consentire al rendimento dei titoli di Stato giapponesi (JGB) decennali di salire lievemente, crediamo che rimarrà accomodante ancora per qualche tempo, mantenendo il tasso di riferimento a breve termine sul -0,1%. Ciò è in netto contrasto con la politica di inasprimento della Fed.
Riforma numero uno: Immigrazione
Il PIL è funzione sia delle dimensioni della forza lavoro che della produttività. Il Giappone è storicamente diffidente nei confronti dell’immigrazione, ma l’invecchiamento della sua popolazione rende urgente un potenziamento della forza lavoro tramite gli immigrati. In un primo momento, le politiche governative hanno cercato semplicemente di aumentare la partecipazione delle donne e dei cittadini più anziani al mercato del lavoro. Ma tali misure non sono bastate a colmare l’ampio divario tra domanda e offerta, ragion per cui il Giappone ha aperto sempre più le porte ai lavoratori provenienti dall’estero. Benché l’immigrazione sia sempre una questione controversa, per un paese che necessita immediatamente di più lavoratori per sostenere la crescita economica la deregolamentazione è uno sviluppo positivo.
Negli ultimi cinque anni, il numero di lavoratori esteri è aumentato dell’87% a 1,3 milioni, ma si tratta ancora del 2% appena della forza lavoro totale, contro il 17% circa degli Stati Uniti e l’11% del Regno Unito, a indicazione di un notevole margine di crescita residuo. A giugno 2018, il governo ha annunciato permessi di soggiorno per lavoratori qualificati con l’obiettivo di attrarre 500.000 nuovi lavoratori entro il 2025. Secondo il rapporto “Replacement Migration” dell’ONU, nel periodo 2000-2050 il Giappone avrà bisogno di 343.000 migranti l’anno per mantenere la sua popolazione totale di 126 milioni e di 647.000 migranti l’anno per mantenere la popolazione in età lavorativa di 77 milioni.
Questo pronostico indica che l’obiettivo del governo di 500.000 lavoratori è sicuramente esiguo, ma la decisione di aprire agli stranieri rappresenta a nostro avviso un primo passo verso la trasformazione della struttura demografica del Giappone, ed è probabile che il numero di ingressi verrà alzato a tempo debito. Il Giappone sta per diventare una società meno omogenea, rivivendo per certi versi l’esperienza di circa 150 anni fa, quando il
Trattato di Kanagawa del 1854 con gli Stati Uniti costrinse il paese a mettere fine alla sua politica di isolazionismo. Ne conseguirono la rapida occidentalizzazione della cultura giapponese e una notevole industrializzazione. Se la storia si ripete, l’aumento dell’immigrazione potrebbe sbloccare un’opportunità di investimento pluridecennale.
Riforma numero 2: riformare il lavoro per aumentare la produttività
Riconoscendo che il tasso di produttività nazionale è abbondantemente al di sotto della media OCSE, nel 2018 il governo giapponese ha introdotto la riforma dello stile di lavoro nell’ambito di un più ampio pacchetto di riforme del mercato del lavoro. Benché il settore manifatturiero nipponico sia leader mondiale nell’adozione dell’automazione industriale, la produttività del lavoro nei settori non manifatturieri rimane alquanto bassa. Le riforme dello stile di lavoro hanno implicazioni importanti sulla crescita della produttività e le future modalità di lavoro. Le misure vanno oltre i tradizionali obiettivi basati su orario di lavoro, salari e flessibilità. Per innalzare la produttività, si punta all’adozione di nuove tecnologie. Di fatto, il governo sta cercando di promuovere l’innovazione in aree quali l’intelligenza artificiale, l’automazione industriale e l’Internet delle cose, tutti ambiti in grado di accrescere la produttività. L’accelerazione della costruzione dell’infrastruttura 5G imprimerebbe
slancio al ritmo del cambiamento.
Quando si tratta di valutare la probabile efficacia delle riforme dello stile di lavoro, gli Stati Uniti sono un’utile guida. La produttività statunitense ha accelerato negli anni ‘80 e da allora non ha mai smesso di aumentare. Facciamo un rapido excursus storico. Dapprima venne l’informatizzazione, con la forte diffusione dei computer mainframe di IBS negli anni 1960-70, culminata nel boom dei personal computer e di “Wintel”. Successivamente, negli anni ‘90 la massiccia deregolamentazione costrinse le società americane a impiegare nuove tecnologie per diventare più competitive. Infine, tra la fine degli anni ‘90 e i primi anni del nuovo millennio, fu la volta di Internet, della posta elettronica e dei cellulari. Quasi in contemporanea, veniva fatto sempre più ricorso alla “Teoria dell’agenzia” (che illustra come il rapporto tra mandanti e agenti possa rimuovere i conflitti di interessi) per accrescere il valore per gli azionisti alla luce dei fallimenti rovinosi di aziende del calibro di Enron e WorldCom.
Il Giappone di oggi sembra avere più di qualche punto in comune con l’esperienza statunitense di allora. In Giappone, la deregolamentazione più radicale è partita dai settori agricolo, finanziario e medico, nonché dal mercato del lavoro. Non è ancora chiaro quanto imponente sarà il miglioramento della produttività giapponese, ma riteniamo vi siano buone probabilità che il divario con l’OCSE venga colmato nei prossimi anni.
Riforma numero 3: Corporate governance
Ripensare in toto la corporate governance per sbloccare le potenzialità dell’impresa privata è un altro aspetto chiave della strategia di crescita del Giappone. Lasciare che i dirigenti aziendali si concentrino sulla redditività del capitale proprio (ROE), aumentare il numero di consiglieri d’amministrazione esterni all’impresa e incoraggiare una comunicazione costruttiva con gli investitori sono stati passi particolarmente importanti.
Le società nipponiche hanno imparato a concentrarsi maggiormente sulla redditività e sull’efficienza del capitale. Di conseguenza, il ROE è aumentato dal 3% nel 2011 a circa il 9% nel 2017, più o meno in linea con la media delle società europee. Di pari passo con la riforma della corporate governance, è cambiata radicalmente anche la scaletta dei nostri incontri con molti team direttivi senior giapponesi, per dare maggiore spazio alle strategie di lungo termine, ai rendimenti, alle politiche di gestione del capitale e alla creazione di modelli di business originali.
A nostro avviso, la riforma della corporate governance è un trend pluriennale e irreversibile.
Motivi di ottimismo
Quand’anche il quadro macro dovesse diventare meno roseo, le società nipponiche hanno frutti maturi e facili da raccogliere per cercare di sostenere il ROE. La gestione dei portafogli commerciali è un’area con un significativo margine di miglioramento residuo, ad esempio mediante una migliore implementazione delle operazioni di fusione e acquisizione, della spesa per investimenti e di ristrutturazioni, disinvestimenti di attività non core e innovazioni di prodotto. Con un accumulo di liquidità pari a circa USD 1.700 miliardi, è molto probabile che le aziende continueranno ad aumentare i dividendi e a riacquistare azioni proprie. In altre parole, riteniamo che l’elevato saldo di cassa netto proteggerà i corsi azionari dai ribassi.
Più a lungo termine, l’effetto combinato di queste tre riforme – aumento della forza lavoro, potenziamento della produttività e ottimizzazione della governance – dovrebbe essere un potente propulsore per l’economia e il mercato azionario del Giappone.
A cura di Daisuke Nomoto, Gestore di portafoglio senior di Columbia Threadneedle Investments