Aumenta l’inflazione in Europa, ma le aspettative restano basse

PIMCO: Aumenta l’inflazione in Europa, ma le aspettative restano basse

PIMCO: Il dato di gennaio dell’inflazione nell’Area Euro, misurata sull’Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo (IAPC), ha sorpreso per il netto rialzo e scatenato il dibattito sul rischio d’inflazione.

Con le campagne vaccinali in corso, il continuo sostegno ai mercati finanziari da parte delle banche centrali e lo stimolo fiscale da parte di diversi governi, l’aumento dell’inflazione rappresenta un rischio? Analizzando in particolare il dato dell’inflazione tedesca, riscontriamo che la sorpresa al rialzo è attribuibile soprattutto a fattori una tantum come lo scadere della riduzione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) e il cambiamento dei pesi delle diverse componenti del paniere. Siamo convinti che le vaccinazioni contro il COVID-19 stiano portando l’economia sul sentiero della ripresa ma crediamo altresì che la ripresa richiederà tempo e sarà disomogenea afferma PIMCO.

Prevediamo che il PIL europeo tornerà ai livelli normali pre-pandemia nel 2022, non quest’anno. Con un tale passo lento verso la normalizzazione, ci aspettiamo che l’inflazione resti contenuta e cresca solo gradualmente nei prossimi 12-18 mesi. Un tale lento ritorno alla crescita economica pre-pandemia potrebbe indurre alcuni investitori a liquidare frettolosamente il valore potenziale della copertura dall’inflazione in Europa. Tuttavia, il mercato sta già scontando una lenta normalizzazione, con tassi d’inflazione attesi attestarsi al di sotto dell’1% nel 2022 e non molto superiori nel resto di questo decennio secondo PIMCO. Tali aspettative di bassa inflazione possono offrire un’opportunità per investire in coperture dall’inflazione che presentano valutazioni appetibili a fronte delle attuali politiche fiscali espansive a livello mondiale e del potenziale di sorprese al rialzo dell’inflazione nell’orizzonte oltre l’immediato futuro. Crediamo che per le prospettive future d’inflazione dell’Area Euro la politica fiscale sarà più rilevante della politica monetaria.

L’economia europea è ancora ben lontana dalla piena capacità e la politica accomodante della Banca Centrale Europea (BCE) è necessaria per mantenere contenuti i costi di finanziamento degli stati sovrani ma non ottiene molto di più di questo. A nostro giudizio, il modo più efficace per stabilizzare l’economia è attraverso la spesa pubblica, con un moltiplicatore ancora maggiore con i tassi alla soglia dello zero. Desideriamo richiamare l’attenzione su due sviluppi positivi sul fronte della politica fiscale nell’Area Euro: • A seguito dell’esplosione della pandemia di COVID-19 che ha messo in pausa l’attività economica a livello globale, i leader europei hanno raggiunto l’accordo su un fondo comune a sostegno della ripresa dell’UE. Sebbene il valore complessivo del pacchetto europeo appaia molto inferiore rispetto a quello totale previsto per l’insieme dei piani statunitensi di aiuti e di sostegni alla ripresa, non v’è dubbio che sia un passo importante nella giusta direzione.

È un segnale forte che il progetto europeo persiste e che resta negli interessi della maggior parte dei paesi collaborare per superare le avversità. Benché l’entità dello stimolo sia pari solo a circa il 2% del PIL dell’Area Euro su base annua, è un intervento assai diverso rispetto alle misure di austerità adottate dopo la crisi dei debiti sovrani. • L’aver raggiunto un accordo fra i 27 stati membri, impresa tutt’altro che semplice secondo PIMCO, offre ai paesi dell’UE l’opportunità di trasformare l’economia europea, di renderla più verde, più innovativa e più resiliente a shock futuri. I leader in generale concordano che fallire rispetto a tale opportunità comporterebbe rischi enormi. Un ruolo importante probabilmente lo avranno, a nostro giudizio, i paesi periferici europei, non solo perché sono i più rappresentati nella distribuzione delle risorse del fondo ma anche perché sono i paesi con il maggior potenziale di progressi reali da compiere. Il ritorno di Mario Draghi, in veste di neo Primo Ministro italiano, è una buona notizia. Ha mutato drasticamente il panorama politico italiano e portato fiducia sui mercati.

Non è un’esagerazione affermare che la posta in gioco è decisamente alta. Il successo o il fallimento di Draghi nel mettere a terra il Piano di ripresa e resilienza e avviare fondamentali riforme sarà cruciale non solo per il futuro dell’Italia ma anche per il progetto europeo. L’ex Presidente della BCE è probabilmente il miglior candidato per portare a termine questo compito per la profonda conoscenza che ha del suo paese e per la sua reputazione per aver salvato l’Euro nella crisi dei debiti sovrani. Questo è dunque un altro fattore favorevole che potrebbe contribuire a risollevare la crescita e l’inflazione nell’Area Euro. Gli investitori non dovrebbero trascurare la minaccia dell’inflazione semplicemente perché l’inflazione è bassa da diversi anni. Inoltre, il mercato non ha raggiunto un orientamento univoco sul riemergere dell’inflazione, pertanto il profilo di rendimento è asimmetrico visto che il mercato non sconta un premio sufficiente per il rischio d’inflazione.

Prendendo come esempio l’IAPC dell’Area Euro, il tasso implicito dell’inflazione di pareggio a cinque anni su un orizzonte quinquennale (5y5y) basato sul mercato degli swap sull’inflazione attualmente si colloca intorno all’1,4%, il che significa che il mercato prevede che fra il 2026 e il 2031 l’inflazione media sarà di 60 punti base inferiore all’obiettivo d’inflazione della BCE. Anche senza che gli investitori prendano posizione sulla direzione dell’inflazione futura, la probabilità di maggiore volatilità dei prezzi introdotta dal poderoso quantitative easing della banca centrale dovrebbe aumentare il valore di convessità delle obbligazioni indicizzate all’inflazione in ragione dell’opzione incorporata. Un altro rischio che vale la pena di considerare è la scarsità dell’offerta di obbligazioni indicizzate all’inflazione.

Le emissioni di questi titoli sono infatti molto inferiori a quelle dei titoli sovrani nominali e i governi potrebbero ridurle ulteriormente se cominciassero a preoccuparsi dell’inflazione. Il rischio in sostanza è che dopo che l’inflazione ha rialzato la testa tende a essere molto più difficile coprirsi rispetto ad essa. Infine, le obbligazioni indicizzate all’inflazione presentano un insieme unico di caratteristiche di rendimento, rischio e correlazione che differiscono dalle obbligazioni convenzionali. I portafogli pertanto possono beneficiare della maggiore diversificazione che deriva da una combinazione di obbligazioni nominali e indicizzate all’inflazione migliorando così il profilo di rischio/rendimento.

 

A cura di Lorenzo Pagani, Responsabile del team di gestione dei portafogli governativi europei di PIMCO

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