Il dibattito sulle prospettive per le economie e i mercati finanziari europei si è in gran parte concentrato sull’approvvigionamento energetico, o meglio sulla sua mancanza, sulla scia del conflitto tra Russia e Ucraina. In breve, la riduzione della domanda di gas finora (circa il 15% nei primi otto mesi del 2022 e una stima del 25% nel T3) è dovuta in gran parte alla sua sostituzione nell’industria pesante anziché a una vera e propria distruzione della domanda (un movimento al ribasso permanente indotto da un periodo prolungato di prezzi elevati o da un’offerta limitata). Tale effetto della sostituzione è destinato a perdurare, il che significa che la distruzione della domanda sarà probabilmente inferiore a quanto temuto, forse in misura considerevole, e ciò dovrebbe tradursi in un minore impatto sul PIL europeo rispetto a quanto previsto dal mercato.
All’interno dell’industria, i settori che utilizzano maggiormente il gas sono quelli della raffinazione, della chimica e dei metalli/minerali, che in genere rappresentano il 60%-65% della domanda. Dopo la crisi energetica, tuttavia, hanno sostituito il gas naturale con altre fonti energetiche. Le società si sono orientate verso l’olio combustibile, il propano, la nafta o il gasolio al posto del gas. Uno dei fattori di questa sostituzione è stato il prezzo. Prima dell’impennata dei prezzi indotta dal conflitto tra Russia e Ucraina, il gas dell’UE era di gran lunga più economico (e più pulito) di altri prodotti derivati dal petrolio. Poiché i prezzi del gas rimangono più alti dei livelli pre-crisi (nonostante i recenti cali), questi prodotti concorrenti sembrano più convenienti. Non sembra esserci un vero e proprio svantaggio in termini di costi, bensì un risparmio sostanziale di gas, che sembra essere stato ignorato dal mercato.
Nel 2023, questi sviluppi comportano una sostanziale riduzione della domanda di gas, che potrebbe contribuire a compensare l’impatto del perdurare del conflitto tra Russia e Ucraina. Sebbene sia ancora presto, le tendenze attuali implicano che la domanda di riscaldamento sarà più bassa (forse del 5%-10% se gli attuali tassi di risparmio persistono in condizioni climatiche normali) e la domanda industriale del 10% in meno (ai tassi attuali). In contrapposizione, l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) ha segnalato che l’Europa potrebbe trovarsi ad affrontare una grave carenza di gas naturale durante il periodo estivo cruciale per il rifornimento dei siti di stoccaggio nel 2023, sottolineando la necessità di ridurre ulteriormente i consumi nel contesto dell’attuale crisi.
Sebbene il quadro della domanda appaia più positivo, l’AIE afferma che la totale chiusura delle forniture di gas russo all’UE e la ripresa delle importazioni cinesi di gas naturale liquefatto (GNL) ai livelli del 2021 potrebbero risultare impegnativi. Le minori importazioni di GNL della Cina nei primi 10 mesi di quest’anno sono state determinanti per una maggiore disponibilità per l’Europa, il che ha contribuito a compensare la diminuzione di gas proveniente dalla Russia. Ma se le importazioni di GNL della Cina tornassero ai livelli del 2021, rappresenterebbero oltre l’85% dell’aumento previsto dell’offerta di GNL globale.
Nelle prime fasi del conflitto tra Russia e Ucraina, gli analisti (compreso il FMI) stimavano che la perdita di energia russa avrebbe potuto causare un calo del PIL dell’Eurozona del 2%-3%. Ora, nonostante l’aumento dei prezzi e le crescenti interruzioni delle forniture (in particolare le esplosioni nei gasdotti Nord Stream), l’impatto macroeconomico appare più modesto. Dato che l’industria si è dimostrata più resistente allo shock energetico e che i governi continuano a sostenere le famiglie e le imprese, la recessione in Europa dovrebbe essere più lieve e più breve rispetto alla crisi finanziaria globale (quando il PIL reale dell’Eurozona ha subito una contrazione del 4,5% nel 2009) e alla recessione pandemica (durante la quale è sceso del 6,5% nel 2020). Attualmente prevediamo che il PIL dell’Eurozona diminuirà di circa l’1% nel 2023.
Una recessione meno marcata potrebbe in ultima analisi sbloccare il valore dei titoli azionari europei. Dalla crisi del debito europeo all’inizio del 2010, si è registrata una marcata divergenza nelle valutazioni relative dei mercati statunitensi ed europei. Di fronte al perdurare dell’incertezza su questa situazione, sui prezzi dell’energia e sul loro impatto sulle economie, c’è il rischio che i titoli azionari europei rimangano una value trap (o trappola di valore ovvero quando qualcosa appare appetibilmente a buon mercato ma il prezzo continua a scendere). Tuttavia, ci sono altre tre condizioni che potrebbero contribuire a innescare un riclassamento, in cui le azioni raggiungono valutazioni più elevate.
In primo luogo, un netto picco nei tassi d’inflazione CPI che consentirebbe alla Banca centrale europea (BCE) e alla Banca d’Inghilterra (BoE) di interrompere l’inasprimento delle politiche. Tuttavia, è improbabile che ciò avvenga nei prossimi mesi, poiché i prezzi dell’energia più elevati si stanno ancora ripercuotendo sui prezzi al consumo, il che incoraggerà entrambi a proseguire sull’attuale traiettoria. Ma se l’inflazione dovesse raggiungere il picco all’inizio del 2023, ci aspetteremmo che entrambe le banche centrali interrompano i rialzi, con i tassi di interesse ben al di sotto delle attuali aspettative del mercato, che suggeriscono che la BCE dovrebbe fermarsi al 2% circa e la BoE al 4% circa. In secondo luogo, è probabile che l’imminente recessione riduca gli utili europei, con una probabile contrazione degli utili per azione del 10%-15% nel 2023, e i mercati azionari non stanno ancora tenendo del tutto conto di questo risultato. Tuttavia, una volta che le aspettative sugli utili si saranno adeguate, i titoli azionari europei avranno maggiori possibilità di rivalutarsi.
A cura di Robert Lind, Economista di Capital Group