Nell’emisfero boreale le banche centrali sono impegnate a combattere l’impennata senza precedenti dell’inflazione. La Banca Centrale Europea (BCE) ha effettuato uno storico inasprimento di 75 punti base l’8 settembre, portando il tasso di riferimento sui depositi allo 0,75%. Con ogni probabilità, la settimana prossima anche la Bank of England (BoE) e la Federal Reserve (Fed) alzeranno ancora i tassi al fine di tenere sotto controllo le pressioni sui prezzi. Ma se le principali autorità monetarie dei Paesi occidentali sono impegnate nella lotta all’inflazione, per quale motivo in Asia la Bank of Japan (BoJ) e la People’s Bank of China(PBoC) hanno un approccio attendista sui tassi?
A nostro parere, due fattori fanno sì che in Occidente e in Asia le dinamiche di inflazione – e quindi le politiche delle banche centrali – siano differenti: (1) l’entità dei primi shock sul fronte della domanda e dell’offerta; e (2) la forza della ripresa della domanda interna post Covid.
Negli USA, le autorità fiscali e monetarie avevano erogato stimoli economici eccessivi. L’importo totale dei pacchetti di stimoli fiscali approvati tra il 2020 e il 2021 (sotto le amministrazioni Trump e Biden) ammonta al 25% del prodotto interno lordo (PIL) del 2020. Inoltre, la Fed ha tagliato con decisione il tasso target sui Fed Fund portandolo a zero e avviato un massiccio programma di quantitative easing in risposta alla pandemia di Covid-19. Questi enormi pacchetti di stimoli causano gravi distorsioni nella domanda delle famiglie e nell’offerta di forza lavoro, le quali a loro volta contribuiscono in misura significativa all’impennata dell’inflazione.
Nell’Area Euro, l’eccessiva dipendenza dalle forniture di combustibili fossili dalla Russia ha comportato una grave crisi energetica e, di conseguenza, i prezzi sono saliti alle stelle. Il miglioramento della domanda interna nel periodo post Covid getta benzina sul fuoco dell’inflazione, pertanto la BCE è costretta ad intervenire e a inasprire le condizioni monetarie.
In Asia, invece, gli stimoli all’economia durante la pandemia di Covid-19 sono stati inferiori a quelli offerti negli USA e la crisi energetica è meno acuta di quella che imperversa in Europa. In ogni caso, i prezzi al consumo sono comunque in aumento e molte banche centrali asiatiche hanno iniziato ad inasprire, ad eccezione di BoJ e PBoC.
In Giappone, la domanda interna era fiacca ben prima dello scoppio della pandemia di Covid-19 nel 2020. Il rapido invecchiamento demografico e la mancanza di investimenti hanno comportato lo stallo della crescita economica e della produttività della forza lavoro. Sebbene in seguito all’impennata dei prezzi del carburante, in Giappone l’inflazione CPI sia salita sopra il target del 2%, secondo il governatore della BoJ Haruhiko Kuroda una simile pressione sui prezzi non è sostenibile. La BoJ non vede ancora segnali di pressioni salariali durature nel Paese tali da giustificare una modifica della politica di controllo della curva dei rendimenti (Yield Curve Control) in essere.
In Cina, il successo della politica zero Covid nel 2020 ha indotto Pechino a proseguire su tale strada malgrado la diffusione di varianti del coronavirus molto più contagiose. L’economia cinese quindi è frenata dai periodici lockdown imposti dalle autorità, che ostacolano la normalizzazione dell’attività economica. Il governo supporta l’economia mediante misure di allentamento fiscale e monetario, ma la politica zero Covid e la debolezza del mercato immobiliare hanno avuto un forte impatto sulla domanda del settore privato.
Questi esempi confermano l’importanza delle condizioni della domanda interna ai fini della determinazione della gravità degli effetti dell’inflazione e quindi della risposta delle banche centrali di tutto il mondo.
La settimana prossima
La prossima settimana l’attenzione si concentrerà sulle decisioni di Fed e BoE in merito ai tassi.
A inizio settimana, negli USA saranno pubblicati il NAHB Housing Market Index di settembre (lunedì) e i dati su permessi edilizi e aperture di nuovi cantieri residenziali in agosto (martedì). Negli Stati Uniti il mercato si attende una leggera moderazione dell’attività in ambito residenziale in settembre (a 48 da 49 in agosto), un ulteriore calo dei permessi edilizi in agosto (-3,8% m/m) e una stabilizzazione delle aperture di nuovi cantieri residenziali in agosto (+1% m/m).
Mercoledì la Fed renderà nota la decisione sui tassi. Al momento il mercato sconta un altro rialzo di 75pb che porterebbe il limite superiore del range del tasso target sui Fed Fund al 3,25%. Conosceremo anche i dati sulle vendite di case esistenti in agosto negli Stati Uniti che, secondo le previsioni, dovrebbero mostrare una flessione (-1,3% m/m) a 4,75 milioni di unità.
Giovedì toccherà alla BoE prendere una decisione sui tassi di riferimento. Il mercato prospetta un nuovo inasprimento di 50pb del tasso bancario ufficiale al 2,25%. Lo stesso giorno verranno anche resi noti diversi dati sul mercato del lavoro USA, tra cui le richieste iniziali e successive di sussidi di disoccupazione, un indicatore della situazione attuale sul mercato del lavoro.
Venerdì sarà la volta dei PMI manifatturiero e dei servizi di USA, UE, Germania, Francia e Regno Unito. Tali dati contribuiranno a fornire un quadro aggiornato della salute delle economie occidentali e potrebbero dare indicazioni sulla determinazione delle banche centrali nella lotta all’inflazione.
Il quadro tecnico
Al momento siamo in un periodo dell’anno caratterizzato da effetti stagionali sfavorevoli e pertanto nuovi aumenti delle quotazioni appaiono piuttosto improbabili. Gli ultimi sondaggi indicano che gli investitori preferiscono un posizionamento di sottopeso nelle azioni. Tuttavia, questo non emerge ancora dall’osservazione dei flussi di capitali: per ora infatti non si registrano deflussi degni di nota.
A tale proposito, ci si chiede se gli investitori istituzionali ridurranno ancora l’esposizione azionaria in caso di ulteriore deterioramento del contesto. Se ciò dovesse accadere, i livelli di minimo registrati in giugno potrebbero essere nuovamente messi alla prova.
A cura di Christiaan Tuntono, Director, Senior Economist, Asia Pacific.