Le banche centrali dei Paesi sviluppati dovranno inasprire le proprie politiche monetarie per contrastare il surriscaldamento dei mercati del lavoro e far sì che la domanda si adegui al ribasso ai prezzi delle materie prime, il cui aumento a causa dell’inflazione sarà duraturo.
La Fed è la banca centrale più indietro rispetto alla curva. Deve far fronte a una spirale salari-prezzi che sta coinvolgendo i lavoratori senza titolo universitario e che comporta quindi un costo elevato in termini di occupazione e di de-rating di asset class quali azioni e real estate.
La “slowflation” (rallentamento delle economie con inflazione duratura) si trasformerà in stagflazione all’inizio del 2023, e l’Europa sarà la prima regione colpita in caso di aggravamento dell’embargo energetico russo o di un’ondata di disordini sociali.
La Cina eviterà l’’hard landing’ nella seconda metà del 2022 grazie all’accelerazione della spesa per il pacchetto di infrastrutture annunciato lo scorso dicembre. Questo rimbalzo genererà però un limitato effetto moltiplicatore, poiché la fiducia delle famiglie e imprese nel settore privato è a livelli molto bassi” – afferma Raphael Gallardo, Chief Economist di Carmingnac. –La crescita delle esportazioni si normalizzerà nella seconda metà del 2022, mentre il mercato immobiliare ha ancora bisogno di un ridimensionamento strutturale. Diventa quindi cruciale stimolare i consumi in maniera più diretta.
Le banche centrali si trovano di fronte a un triplice dilemma: controllare l’inflazione, preservare l’occupazione o evitare gli shock finanziari. La concomitanza di questi tre target, tra loro contrapposti, è fonte di volatilità e quindi di potenziali opportunità future.
Spingere rapidamente i tassi di interesse in territori restrittivi significa pesare sulla crescita economica e, in ultima analisi, sull’inflazione, il che dovrebbe limitare relativamente il rialzo dei tassi a lungo termine. I timori legati all’inasprimento monetario e a una possibile recessione hanno spinto i mercati del credito su livelli prossimi alla recessione.
Il primo calo dei mercati azionari si è registrato in scia all’aumento dei tassi di interesse che ha pesato sulle valutazioni e, a meno che non si verifichi un’inversione di tendenza sul fronte dell’inflazione, il calo delle performance potrebbe continuare. Ma al di là dell’evoluzione dei multipli, i nostri timori per il futuro si concentrano sull’evoluzione degli utili e dei profitti, sulla compressione dei margini e sul deterioramento della crescita economica.
Secondo Kevin Thozet, membro del Comitato d’Investimenti, Carmignac, “Siamo tra l’incudine e il martello. L’inflazione deve essere controllata per poter vedere una qualche forma di stabilità sui mercati azionari e obbligazionari. Tuttavia, il controllo dell’inflazione comporterà un inasprimento delle condizioni finanziarie, che a sua volta non è di buon auspicio per i mercati.
La gestione attiva è un prerequisito in tempi così difficili e lo sarà ancora di più in futuro, dato che il ritorno dell’inflazione implica il ritorno dell’incertezza, un fenomeno a cui abbiamo assistito a malapena nell’ultimo decennio. Questo fattore potrebbe favorire i gestori attivi, dal momento che inflazione e ciclicità macroeconomica tendono ad andare di pari passo”.
In un contesto di questo tipo, i nostri driver di performance e gli strumenti di gestione del rischio si basano su:
- Un approccio prudente con una bassa esposizione netta ai mercati azionari e a reddito fisso.
- Un portafoglio azionario core costruito attorno a settori difensivi come healthcare e i beni di prima necessità, completato da una selezione opportunistica di titoli azionari e del credito cinesi.
- La liquidità e gli strumenti a breve termine appaiono i più adatti per gestire la volatilità, ma anche a fornire un po’ di dry powder da impiegare su scala più ampia se e quando le valutazioni diventeranno più interessanti.
A cura di Raphaël Gallardo, Chief Economist, e Kevin Thozet, membro del Comitato Investimenti, Carmignac