Di recente i prezzi delle materie prime hanno registrato forti rialzi, facendo ipotizzare che potremmo trovarci nelle prime fasi di un cosiddetto superciclo, ovvero un periodo prolungato di crescita della domanda superiore all’offerta. I prezzi globali delle materie prime sono aumentati negli ultimi mesi, anche a causa di questioni geopolitiche. Nonostante la solida domanda di materie prime, i produttori sono stati riluttanti ad aumentare l’offerta, aggiungendo ulteriore pressione sui prezzi.
A che punto siamo rispetto al ciclo delle materie prime?
Strutturalmente, siamo ancora nelle prime fasi di un ciclo pluriennale. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un notevole nervosismo: i prezzi del petrolio sono scesi e quelli dei metalli hanno ceduto rispetto ai loro massimi.
In particolare, la Cina è in difficoltà per i lockdown e, allo stesso tempo, abbiamo visto i primi segnali di un potenziale picco degli indici manifatturieri nei mercati sviluppati. A tale contesto si aggiungono le preoccupazioni per le conseguenze che la riduzione della liquidità avrà su tutti i mercati in generale.
In qualità di analisti di commodity, ci concentriamo sui fondamentali. In primo luogo, se guardiamo ai bilanci per il 2022 e il 2023, vediamo ancora molti vincoli. Le scorte sono ancora molto basse nel settore agricolo e nei settori petroliferi, che sono ancora in deficit, anche ipotizzando un rallentamento della domanda da qui in avanti. Infine, riteniamo che i problemi che stiamo riscontrando in Cina sotto il profilo del Covid-19 siano transitori.
Guardando invece ai fattori strutturali sottostanti, osserviamo un’offerta che non si adegua all’aumento dei prezzi, conferendo longevità a questo ciclo. Una delle ragioni principali è legata al fatto che l’investimento in materie prime è diventato “persona non grata” a causa delle sue scarse credenziali ESG.
Perché le aziende hanno paura di aumentare l’offerta in un contesto in cui i prezzi sono saliti in modo così vertiginoso?
In poche parole, il contesto dei rendimenti è molto incerto. Gli investimenti in materie prime, in particolare nel settore dell’energia e dei metalli, hanno un ciclo molto lungo, circa 15-20 anni. Gran parte degli osservatori afferma che la domanda di petrolio crollerà entro 5 anni con la transizione verso l’energia pulita. Quindi, chi vorrebbe investire oggi ingenti somme in uno stranded asset?
Per consentire la transizione energetica, sono necessarie enormi quantità di metalli di base, ma la loro produzione è ad alta intensità di carbonio e la capacità di usufruire di forniture ‘pulite’ è limitata. Si tratta di un paradosso irrisolto, ed è una parte importante del motivo per cui gli investimenti rimangono bassi nonostante l’aumento dei prezzi.
Che impatto hanno sull’offerta le sanzioni contro la Russia?
La nostra opinione è che non si sia ancora sentito l’impatto delle sanzioni sulle forniture russe al mercato globale. Pensiamo che l’embargo europeo avrà pieno inizio a fine 2022, con alcune concessioni per Paesi come l’Ungheria. Questo ridurrà in modo significativo l’offerta globale di petrolio. Non c’è modo, a nostro avviso, di dirottare anche solo la metà di questa fornitura verso l’Estremo Oriente.
Come ha influito la riduzione della domanda cinese sui mercati delle materie prime?
La domanda cinese è estremamente debole, ma il ritracciamento del mercato immobiliare è già stato assorbito. Si tratta di capire se lo stress causato dal Covid-19 sia permanente o se avrà un effetto frenante sulla domanda solo nel breve termine.
Il ruolo della Cina nei mercati delle materie prime oggi è molto diverso dal superciclo del 2002/2005. Allora la Cina era un esportatore netto di quasi tutte le materie prime e stava diventando un massiccio importatore di metalli, aumentando anche lentamente le importazioni di petrolio. Chiaramente, il ciclo oggi è molto più avanti. Chiunque si aspetti un’impennata delle importazioni cinesi di metalli come in passato, si sbaglia di grosso.
Sebbene la Cina non vedrà un altro punto di flesso come quello che abbiamo visto negli anni 2000 per i mercati dei metalli, potrebbe giungere a una situazione simile nei mercati agricoli. Le ragioni sono chiare: vediamo trend di produzione interna molto problematici e un aumento del consumo pro-capite. Riteniamo che il governo si stia concentrando in maniera mirata sull’accumulo di scorte di prodotti agricoli e di altre materie prime, date le preoccupazioni esterne.
In che modo deglobalizzazione e decarbonizzazione favoriscono un superciclo delle materie prime?
La deglobalizzazione creerebbe catene di approvvigionamento molto più complesse per le materie prime, il che significa che per alcune aziende sarà più difficile avviare nuovi progetti in diverse parti del mondo. In effetti, la crisi russo-ucraina è stata un campanello d’allarme per i governi che hanno fatto eccessivo affidamento su regioni specifiche.
La decarbonizzazione si inserisce direttamente nel concetto di greenflation, il forte aumento del prezzo dei materiali utilizzati nella creazione di tecnologie rinnovabili. Dal punto di vista ESG, la decarbonizzazione nel settore delle materie prime presenta anche alcune sfide, a meno che non si disponga della fonte di energia più ecologica in assoluto, o dell’accesso alle risorse idroelettriche per la fusione dell’alluminio, per ottenere dalle banche finanziamenti per questo tipo di progetti.
In generale, la decarbonizzazione presenta un dilemma. Mentre la domanda di metalli necessari per i veicoli elettrici o le turbine eoliche esplode, la produzione di questi materiali diventa più difficile a causa dell’aumento dei costi legati all’emissione di carbonio.
Se la Fed dovesse innescare una recessione, in che modo ciò influirebbe sull’ipotesi di un superciclo delle materie prime?
In caso di recessione globale, si assisterebbe a un’ulteriore distruzione della domanda di prodotti petroliferi e la domanda aggregata di metalli sarebbe inferiore alle previsioni precedenti.
Ma per portare il mercato in surplus, quest’anno si dovranno registrare cali molto consistenti della domanda di petrolio. In un contesto di recessione globale, probabilmente si assisterebbe a equilibri meno rigidi, a punti finali più alti per le scorte, ma questo inficia la tesi generale? Decisamente no.
A cura di James Luke, gestore del fondo Schroder ISF Global Gold, Schroders