Per molti investitori i mercati di frontiera rimangono relativamente inesplorati, tuttavia possono offrire un’ulteriore gamma di opportunità agli investitori bene informati. Molti Paesi emergenti tradizionali, come Messico, Russia e Sudafrica, sono ora molto più sviluppati di un tempo, con istituzioni e infrastrutture più stabili. In virtù di ciò, sarà difficile per questi Paesi crescere allo stesso tasso dei decenni precedenti. Al contrario, molti mercati di frontiera sono nella fase iniziale dello sviluppo (economico, politico e finanziario) e presentano molte delle stesse caratteristiche che i paesi emergenti tradizionali avevano anni fa con un grande potenziale di crescita.
I mercati di frontiera non solo forniscono rendimenti più elevati ma sono anche una fonte di diversificazione. Storicamente i mercati di frontiera hanno avuto una bassa correlazione con i mercati sviluppati ed emergenti, così come con altri mercati di frontiera. Questo è dovuto in parte al fatto che gli investimenti provengono da investitori locali (piuttosto che da investitori internazionali), non sono generalmente coinvolti in investimenti passivi poiché non sono tipicamente inclusi nei benchmark tradizionali dei mercati emergenti, e anche perché hanno livelli di debito più bassi (quindi sono meno correlati ai movimenti globali di valuta e di tasso di interesse) e sono generalmente meno coinvolti nel commercio globale.
Un approccio attivo ai fondamentali è cruciale per investire in questi mercati poiché tende a esserci un’ampia varietà tra le economie dei mercati di frontiera e, di conseguenza, anche diverse opportunità di investimento. Gli investimenti nei mercati di frontiera tendono ad essere influenzati più dalla situazione politica o economica interna che da eventi globali. Per esempio, è improbabile che un cambiamento del regime politico in Egitto abbia un impatto sulle prospettive dello Sri Lanka.
La pandemia ha introdotto un ingente shock esogeno nelle economie e nei mercati. Se la giovane età demografica e la ridotta capacità di implementare i lockdown possono aver avuto un impatto minore sulle economie di frontiera, l’impatto è stato comunque significativo. Questi mercati piccoli, ma in rapida crescita, hanno sofferto shock esterni che hanno colpito l’industria del turismo e il commercio di beni e servizi, così come shock interni, con il rallentamento dell’attività economica che ha colpito le imprese locali e il reddito delle famiglie. In generale, abbiamo riscontrato che i Paesi a più alta crescita prima della pandemia, come il Benin e l’Etiopia, hanno riportato la tendenza a essere meno impattati dai rallentamenti della congiuntura.
Una forza trainante chiave all’interno dei mercati di frontiera è ora il picco dei prezzi delle materie prime scaturito con la guerra della Russia in Ucraina. Anche se questo comporta una crisi umanitaria e un significativo shock dal lato dell’approvvigionamento di beni per l’economia mondiale sta avendo un impatto frammentato sui mercati di frontiera, molti dei quali sono esportatori di materie prime.
Gli esportatori di materie prime dovrebbero beneficiare di prezzi più alti attraverso un miglioramento delle loro ragioni di scambio, che aiuterà la bilancia dei pagamenti. L’impatto sull’inflazione, tuttavia, potrebbe essere significativo dato che i mercati di frontiera hanno generalmente un’alta percentuale di beni alimentari ed energia nei loro panieri dell’IPC rispetto ai mercati sviluppati e a molti altri mercati emergenti, e questo potrebbe avere effetti sulla stabilità sociale se i prezzi continuassero a rimanere elevati. Questo è meno problematico per alcuni dei maggiori esportatori di petrolio, poiché beneficiano di maggiori entrate fiscali che possono utilizzare per i sussidi.
La Nigeria e l’Angola sono i maggiori esportatori di petrolio in Africa e dovrebbero assistere ad un aumento delle loro riserve in conto capitale, anche se entrambi hanno avuto problemi a incrementare la produzione di petrolio. L’inflazione è alta in entrambi i Paesi. La Nigeria ha anche elevati sussidi per il carburante, che limiteranno l’impatto sull’inflazione, ma minano anche il miglioramento dell’equilibrio fiscale. Lo Zambia dovrebbe beneficiare della salita dei prezzi del rame, anche se gli elevati prezzi del petrolio e dei generi alimentari peseranno sull’inflazione e il Paese è impantanato in una complessa ristrutturazione per risolvere il default del suo debito sovrano.
Molti importatori di materie prime, nel frattempo, si trovano in una situazione di difficoltà. Lo Sri Lanka ha dichiarato di essere pronto a rivolgersi al FMI se l’adempimento degli obblighi di debito diventa più oneroso. Allo stesso modo, il Pakistan stava già incontrando vincoli esterni quando l’economia ha iniziato a riprendersi dal COVID e ora un contesto di difficoltà delle riforme ha iniziato a gravare sullo stato in vista delle elezioni del prossimo anno. Questi problemi sono stati amplificati dall’aumento dei prezzi del petrolio, dati gli ingenti costi di importazione dell’energia che sta affrontando. L’Egitto è vulnerabile soprattutto per le importazioni di grano relativamente consistenti e in quanto destinazione per i turisti russi e ucraini. Mentre le riserve estere lorde sono ancora relativamente intatte, la posizione complessiva del settore bancario sul mercato valutario è più debole. Se il conflitto si risolve e se i prezzi delle materie prime si stabilizzano di conseguenza, dovremmo attenderci un ritorno ai driver di lungo termine che guidano i mercati di frontiera. I Paesi “motore della crescita”, come il Benin e l’Etiopia, ma anche Paesi più diversificati e ricchi come il Senegal, la Costa d’Avorio e il Kenya, dovrebbero tutti continuare a vedere elevati tassi di crescita strutturale mentre compiono la transizione verso lo status di Paesi appartenenti ai mercati emergenti più tradizionali. Si tratta di un processo pluridecennale ma che offre opportunità.
A cura di Flavio Carpenzano, Fixed Income Investment Director di Capital Group